Annìbale (greco ’Anniba~, latino (H)annĭbal, in punico «la mia grazia è Ba‛al»; ? 247 a.C. – Bitinia 183 a.C.).
Annìbale (greco ’Anniba~, latino (H)annĭbal, in punico «la mia grazia è Ba‛al»; ? 247 a.C. – Bitinia 183 a.C.). Condottiero cartaginese. Figlio di Amilcare Barca, il generale della prima guerra punica. Il padre, da bambino, gli fece giurare odio eterno al nome romano; A., cui spettò nel 221 il compito di estendere il dominio cartaginese della penisola iberica, tenne fede alla volontà paterna e alle tradizioni della famiglia.
Con la presa di Sagunto (218), infatti, i Romani furono indotti alla guerra, nella quale il genio militare e politico di A. si manifestò tanto alto da restare nei secoli come quello del più grande tra gli antagonisti di Roma, e tale da rimanere il simbolo dell’estremo pericolo per la Repubblica. La perizia militare di A. rifulse particolarmente nelle battaglie del Trasimeno (eccezionale esempio di perfetta imboscata) e di Canne (manovra di accerchiamento rimasta esemplare). Ma il disegno politico di A., ottenere cioè la disgregazione delle alleanze di Roma in Italia, riuscì solo parzialmente e in seguito fallì; inoltre la sua posizione militare fu aggravata dall’incomprensione del governo cartaginese, che non volle, o non seppe, aiutare le sue spedizioni come sarebbe stato necessario.
La distruzione dell’esercito di Asdrubale al Metauro rappresentò il colpo finale per le speranze di A., e, quando i Romani portarono la guerra in Africa (204), egli fu richiamato in patria. L’ultima sua battaglia a Zama (202) contro l’esercito di Scipione, fu anch’essa un capolavoro di strategia e di tattica, ma si risolse in una sconfitta. Nel 195 dovette abbandonare Cartagine, al cui risollevamento dava la sua energica opera, e si rifugiò presso il re di Siria Antioco III, di cui sollecitò l’ostilità verso Roma. Battuto nella battaglia di Magnesia al Sipilo (190), A. si rifugiò presso il re di Bitinia, Prusia, ma, temendo di essere consegnato ai Romani, si tolse 1a vita.