Nacque a Torino nel 1858 e si trasferì a Milano nel 1870.
Nacque a Torino nel 1858 e si trasferì a Milano nel 1870. Testardo, violento, intrattabile, il ragazzo sdegnò la carriera del padre, che era capostazione, e andò invece a imparare il mestiere in una bottega di marmista seguendo la sua vocazione di artista.
Nel 1882 si iscrisse all’Accademia di Brera dove frequentò i corsi solo per un anno. Alla scuola di nudo egli propose di vestire le modelle non per ragioni di moralità, ma per aderenza alla realtà e distacco dai valori accademici: «Forse le donne passeggiano nude per le vie di Milano?». Venne espulso dall’accademia perché picchiò un compagno per non aver firmato una sua petizione che conteneva proposte di innovazione.
In realtà, egli era insofferente all’insegnamento accademico. Frequentò, allora, l’ambiente della scapigliatura assimilandone alcuni principi.
Sotto questa influenza in quegli anni si dedicò al problema della luce studiandone gli effetti contrastanti e fuggevoli. Viaggiò molto tra Roma e Milano esponendo le sue opere e conducendo una vera vita da bohémien, dormendo sotto i portici del Colosseo a Roma o in stanze di fortuna.
Nel 1884 partì per Parigi, ma non visitò il Louvre, museo che ospita raccolte di opere antiche e classiche, ma il Salon des Independants, dove poté vedere le opere degli impressionisti. Andò a lavorare come sbozzatore da Durand-Ruel e qui conobbe Rodin, che faceva lo stesso lavoro. Fin da allora l’obiettivo di ambedue gli artisti fu quello di tradurre, nella scultura, gli effetti realizzati dagli impressionisti in pittura. Tornato a Milano, Medardo Rosso si sposò ed ebbe un figlio registrato con il nome di Francesco, Evviva, Ribelle. In questo periodo realizzò diverse opere tra cui appunto L’età d’oro (1886) e altre per il cimitero Monumentale; intanto sue opere erano esposte a Parigi e a Vienna, dove si recò nel 1886.
Continuando la sua vita disordinata e mantenendo un atteggiamento anarchico, nel 1889 si trasferì a Parigi. Qui egli era piuttosto apprezzato, mentre le sue opere erano esposte a Londra, Vienna e, nel 1889, alla Esposizione universale di Parigi. A Parigi innescò una polemica con Rodin sulla scultura impressionista.
Negli ultimi anni tornò a vivere a Milano. Egli era considerato e apprezzato, soprattutto all’estero, dai critici e dagli artisti più moderni, ma non dal pubblico italiano che oppose un netto rifiuto nei riguardi della sua opera. La società a lui contemporanea, intrisa come era di quel gusto per il classicismo accademico, molto di moda nello scorcio di secolo, stava infatti accettando lentamente la pittura impressionista, ma non riusciva a comprendere l’arte di Medardo Rosso.
Egli non ebbe quindi fortuna in patria dove eccellevano scultori accademici come Ettore Ferrari, autore di diversi monumenti a Vittorio Emanuele sparsi nelle diverse piazze d’Italia.
Ardengo Soffici, un autorevole critico dei primi del Novecento, si batté per difendere le sue posizioni scrivendo Il caso Rosso e l’impressionismo e Medardo Rosso. Fu salutato come maestro dai futuristi, in particolare da Boccioni, soprattutto per la sua opera, ma anche per lo stile di vita, l’audacia aggressiva delle sue parole e delle sue azioni.
Si impose con la sua forte personalità, sicuro di sé, del suo valore e della sua poetica che scardinava i principi su cui era stata fondata, per centinaia di anni, l’arte della scultura. Malato di diabete e nefrite, fu ricoverato in clinica per una ferita al piede e qui subì l’amputazione di tre dita e poi della gamba.
Morì la sera del 31 marzo 1928, assistito dal figlio Francesco.