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Da Lider Marximo a Compagno Fidel

Saggio di redazione

Saggio di redazione 

Il messaggio di Fidel Castro ai cubani del 18 febbraio 2008.
«Cari compatrioti, venerdì scorso, 15 febbraio, vi avevo promesso che avrei affrontato nella prossima riflessione un tema di interesse per molti di voi. Questa volta la riflessione assume la forma di messaggio.

È arrivato il momento di proporre e di eleggere il Consiglio di Stato, il suo presidente, i vicepresidenti e il segretario.
Ho ricoperto l’onorevole incarico di presidente per molti anni. Il 15 febbraio 1976 è stata approvata la Costituzione socialista con voto libero, diretto e segreto da oltre il 95% dei cittadini con diritto di voto. La prima Assemblea nazionale è stata costituita il 2 dicembre di quell’anno e ha eletto il Consiglio di Stato e la sua Presidenza. Prima avevo esercitato l’incarico di primo ministro per quasi 18 anni. Ho sempre avuto le prerogative necessarie per portare avanti l’opera rivoluzionaria con il sostegno dell’immensa maggioranza del popolo.
Conoscendo il mio stato critico di salute, molti all’estero pensavano che le dimissioni provvisorie alla carica di presidente del Consiglio di Stato il 31 luglio 2006, che avevo lasciato nelle mani del primo vicepresidente, Raúl Castro Ruz, fossero definitive. Lo stesso Raúl, che ha anche l’incarico di ministro delle Forze armate rivoluzionarie, per meriti personali, e gli altri compagni della direzione del partito e dello Stato, erano riluttanti a considerarmi lontano dai miei incarichi nonostante il mio stato precario di salute.
Era scomoda la mia posizione di fronte a un avversario che ha fatto tutto l’immaginabile per disfarsi di me e non mi faceva piacere accontentarlo.
In seguito ho potuto di nuovo avere il dominio totale della mia mente, la possibilità di leggere e di meditare molto, obbligato dal riposo. Avevo le forze fisiche sufficienti per scrivere per molte ore, quelle che condividevo con la riabilitazione e con i programmi inerenti al recupero. Un elementare buonsenso mi indicava che questa attività era alla mia portata. D’altra parte mi sono sempre preoccupato, parlando della mia salute, di evitare illusioni che, nel caso di un esito sfavorevole, avrebbero portato notizie traumatiche al nostro popolo nel mezzo alla battaglia. Prepararlo alla mia assenza, psicologicamente e politicamente, era il mio obbligo primario dopo tanti anni di lotta. Non ho mai smesso di far presente che si trattava di un recupero “non esente da rischi”.
Il mio desiderio è stato sempre quello di compiere il mio dovere fino all’ultimo alito. È quello che posso offrire.
Ai miei cari compatrioti, che mi hanno fatto l’immenso onore di eleggermi nei giorni scorsi membro del Parlamento, nel cui seno vanno presi importanti accordi per il destino della nostra Rivoluzione, comunico che non aspirerò né accetterò – ripeto – non aspirerò né accetterò, la carica di presidente del Consiglio di Stato e di comandante in capo.
In brevi lettere indirizzate a Randy Alonso, direttore del programma Tavola Rotonda della televisione nazionale, che su mia richiesta sono state divulgate, erano contenuti discretamente degli elementi di questo messaggio che scrivo oggi, e neppure il destinatario dei messaggi conosceva il mio proposito. Avevo fiducia in Randy perché lo avevo conosciuto bene quando era studente universitario di giornalismo, e mi riunivo quasi tutte le settimane con i principali rappresentanti degli studenti universitari, di quello che era già noto come l’anima del Paese, nella biblioteca dell’ampia casa di Kohly, dove alloggiavano. Oggi tutto il Paese è un’immensa università.

Paragrafi selezionati della lettera inviata a Randy il 17 dicembre 2007:

“La mia più profonda convinzione è che le risposte ai problemi attuali della società cubana, che ha un livello educativo di circa 12 gradi in media, quasi un milione di laureati e la possibilità reale di studio per i suoi cittadini senza alcuna discriminazione, richiedono più variabili di risposte per ogni problema concreto di quelle contenute in una scacchiera. Non si può ignorare un solo dettaglio, e non si tratta di un percorso facile, poiché l’intelligenza dell’essere umano in una società rivoluzionaria deve prevalere sui suoi istinti”.

“Il mio dovere elementare non è quello di attaccarmi alle cariche, né tanto meno quello di sbarrare il passo a persone più giovani, ma quello di apportare esperienze e idee il cui modesto valore proviene dall’epoca eccezionale che mi è toccato vivere”.

“Penso come Niemeyer che bisogna essere conseguenti fino alla fine”.

Lettera dell’8 gennaio 2008:

“Sono un deciso sostenitore del voto unito (un principio che salvaguarda il merito non conosciuto). È stato quello che ci ha permesso di evitare le tendenze a copiare quello che veniva dai Paesi dell’antico campo socialista, tra queste il ritratto di un candidato unico, tanto solitario e contemporaneamente tanto solidale con Cuba. Rispetto molto quel primo tentativo di costruire il socialismo, grazie al quale abbiamo potuto continuare la strada scelta”.

“Avevo ben presente che tutta la gloria del mondo può essere contenuta in un grano di mais”, ribadivo in quella lettera.

Tradirei pertanto la mia coscienza se occupassi una responsabilità che richiede mobilità e dedizione totale che non sono in condizioni fisiche di offrire. Lo dico senza drammaticità.

Per fortuna il nostro processo può contare ancora su quadri della vecchia guardia, insieme con altri che erano molto giovani quando è iniziata la prima fase della Rivoluzione. Alcuni, quasi bambini, si erano uniti ai combattenti delle montagne e poi, con il loro eroismo e con le loro missioni internazionaliste, hanno riempito di gloria il Paese. Dispongono dell’autorità e dell’esperienza per garantire la sostituzione. Il nostro processo dispone anche della generazione intermedia che ha imparato insieme con noi gli elementi della complessa e quasi inaccessibile arte di organizzare e di dirigere una rivoluzione.

Il percorso sarà sempre difficile e richiederà lo sforzo intelligente di tutti. Diffido dei sentieri apparentemente facili dell’apologetica, o dell’autoflagellazione come antitesi. Occorre prepararsi sempre per la peggiore delle variabili. Essere molto prudenti nel successo e fermi nell’avversità è un principio che non si può dimenticare. L’avversario da battere è estremamente forte, ma l’abbiamo tenuto a bada per mezzo secolo.

Non mi accomiato da voi. Desidero solo combattere come un soldato delle idee. Continuerò a scrivere sotto il titolo Riflessioni del compagno Fidel. Sarà un’arma in più dell’arsenale su cui poter contare. Forse la mia voce sarà ascoltata. Starò attento».

Grazie, Fidel Castro Ruz

Reazioni estere
All’indomani dell’annuncio di Fidel Castro, 104 membri del Congresso degli USA, su un totale di 435, inviano una lettera aperta al segretario di Stato Condoleezza Rice in cui si afferma: «Dopo 50 anni, riteniamo che è ora di pensare a cambiare modo di pensare e di agire»; e ancora: «Per cinque decenni, la politica statunitense ha scelto le sanzioni economiche e l’isolamento diplomatico per obbligare il governo cubano al cambio. L’evoluzione della situazione dimostra che questa politica non ha funzionato». John Negroponte, il segretario di Stato aggiunto, dichiara che le sanzioni economiche verso Cuba non saranno eliminate.

«La comunità internazionale dovrebbe lavorare col popolo cubano per cominciare a costruire istituzioni necessarie per la democrazia» (George W. Bush).

«Abbiamo bisogno di un presidente che lavori con i Paesi di tutto il mondo, con l’Europa, con l’emisfero occidentale per fare pressione su Cuba» (Hillary Clinton, candidato del Partito Democratico alle elezioni presidenziali del 2008).

«Pressare il regime cubano» (John McCain, candidato del Partito Repubblicano alle elezioni presidenziali del 2008).

«L’embargo degli USA su Cuba è una delle politiche estere più inefficaci e retrograde della storia. Oggi, gli Stati Uniti hanno la possibilità di cambiare strada» (Christopher Dodd, senatore democratico del Connecticut).

Evo Morales, presidente della Bolivia: «Si tratta di un rapporto da Stato a Stato, da governo a governo, che non dipende da una sola persona».

Il presidente brasiliano Lula da Silva, dopo aver dichiarato che Fidel è «l’unico mito vivente della storia dell’umanità», afferma che «il processo di sviluppo avviene in modo tranquillo. […] Ho un profondo rispetto per il popolo cubano e credo che sia il popolo più politicizzato del pianeta. […] Ogni popolo sceglie il proprio regime politico e lasciamo che i cubani decidano quello che vogliono fare. I cubani hanno la maturità per risolvere i loro problemi».

Il presidente venezuelano Hugo Chavez ha dichiarato che «Fidel sarà sempre all’avanguardia, poiché gli uomini come Fidel non si ritirano mai».

Messico: «Proseguire avanzando nel processo di avvicinamento bilaterale, cominciato da mesi, diretto al pieno ristabilimento dei rapporti rispettosi e reciprocamente benefici per il Messico e Cuba»; e inoltre: il governo «seguirà con attenzione gli avvenimenti politici in questa nuova tappa della storia di Cuba, in pieno rispetto della autodeterminazione e volontà del popolo cubano».

Il presidente guatemalteco, Álvaro Colón, afferma che «non danneggerebbe in alcun modo i rapporti eccellenti con Cuba».

Il segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA), José Miguel Insulza, sottolinea come Cuba sia una nazione sovrana: «Devono essere gli stessi cubani, attraverso il dialogo libero e pacifico, e senza ingerenze esterne, a scegliere il percorso più appropriato per il benessere del loro popolo».

Il primo ministro francese, François Fillon, richiede «un’evoluzione del regime cubano verso la democrazia».

Il Ministero degli Esteri britannico lancia un «appello a un maggior rispetto dei diritti umani e per riforme politiche ed economiche più ampie».

A Bruxelles, Javier Solana, alto rappresentante della Politica estera e della Sicurezza comune dell’Unione Europea, auspica un «processo di transizione democratica».

L’ambasciatore spagnolo a Washington, Carlos Westendorp, dichiara: «Possiamo avere discrepanze con le comunità cubane e con i nostri amici negli USA circa il rapporto con Cuba, ma si tratta più di questioni tattiche che strategiche».

Il sottosegretario italiano agli Affari esteri con delega per l’America Latina, Donato Di Santo, parla di «una transizione democratica» e di «rispetto dei diritti umani».

In Sudafrica, l’African National Congress (ANC) definisce Fidel Castro «una leggenda vivente». «Il popolo cubano, sotto la direzione del presidente Castro, si è incorporato nella lotta di liberazione del popolo dell’Africa, in particolare del Sudafrica»; e inoltre: «Non hanno contribuito solo alla trasformazione del nostro Paese, ma hanno continuato a sostenerci nei nostri sforzi di ricostruzione e di sviluppo inviando i loro medici».

La Santa Sede, per bocca del segretario di Stato del Vaticano Tarcisio Bertone: «Il papa mi ha dato una benedizione speciale per tutti i cubani, dal líder máximo a tutta la popolazione».

Amnesty International: «La nuova dirigenza cubana deve cogliere l’occasione di questo cambiamento per introdurre le riforme necessarie per garantire la protezione dei diritti umani. Le riforme devono iniziare con il rilascio incondizionato di tutti i prigionieri di coscienza, la revisione delle sentenze emesse dopo processi iniqui, l’abolizione della pena di morte e l’introduzione di misure che garantiscano il rispetto delle libertà fondamentali e l’indipendenza della magistratura».

Raúl Castro
Più giovane di cinque anni del fratello Fidel, Raúl Modesto Castro Ruz nasce nel 1931 a Mayarí (provincia di Oriente) da una famiglia di agricoltori benestanti di origine spagnola. Dopo aver studiato a Santiago di Cuba in un prestigioso collegio di gesuiti, come il fratello maggiore, si iscrive alla facoltà di Scienze politiche nella capitale L’Avana. Nel 1953 partecipa come delegato cubano alla Conferenza internazionale della difesa dei diritti della gioventù a Vienna. Il 26 luglio dello stesso anno, insieme con il fratello e un gruppo di altri oppositori del regime di Fulgencio Batista, prende parte al fallito assalto alla caserma Moncada di Santiago, il primo simbolico atto rivoluzionario per destituire il governo filo-statunitense dell’isola caraibica.
Condannato a tredici anni di reclusione, grazie all’amnistia rimane in carcere per soli 22 mesi, dopo i quali conosce in Messico, con il fratello Fidel, Che Guevara, in seguito tra i leader della guerriglia sulla Sierra Maestra. È tra i 16 sopravvissuti dello sbarco del 2 dicembre 1956 dello yacht Granma sulle coste orientali di Cuba, cui presero parte 82 uomini, episodio iniziale della rivoluzione cubana, durante la quale – nel 1958 – assume il comando dell’esercito ribelle, ruolo in cui ha modo di mettersi in luce con Che Guevara e Camilo Cienfuegos.

Alla fine della rivoluzione (1959) Raúl Castro è divenuto il secondo in tutte le cariche istituzionali del Paese, imponendosi di fatto come vera e propria eminenza grigia del governo cubano. Dal 16 ottobre 1959, data della sua istituzione, è comandante delle Forze armate rivoluzionarie di Cuba (FAR), mentre dalla promulgazione della Costituzione (1976) svolge l’incarico di seconda più alta carica del Consiglio di Stato, di vicepresidente del Consiglio dei ministri e vicesegretario del Politburo e del Comitato centrale del Partito Comunista di Cuba. Il 27 febbraio 1998, in occasione del 40° anniversario della sua promozione a comandante dell’esercito ribelle, è insignito insieme con Juan Almeida Bosque dell’onorificenza di Eroe della Repubblica di Cuba e dell’Ordine Massimo Gomez Primo Grado.

Il punto sull’anticastrismo
Il governo di Fidel Castro a Cuba è da anni oggetto di tentativi di sabotaggio per lo più condotti da esuli cubani in collaborazione con la CIA: infiltrazioni e attacchi di tipo terroristico hanno provocato fino a questo momento oltre 3400 vittime e 2000 invalidi.
La situazione si è ulteriormente aggravata nei primi anni Novanta, in seguito alla caduta del muro di Berlino e alla fine dell’Unione Sovietica, grande protettrice di Cuba, quando la Fondazione nazionale cubano-americana (FNCA) ha intensificato la sua attività, creando un’organizzazione clandestina parallela che a breve potrebbe disporre di un elicottero, dieci aerei telecomandati, sette imbarcazioni ed esplosivo per compiere attentati sull’isola caraibica. Il punto di riferimento dell’anticastrismo cubano-statunitense in America centrale è l’agente della CIA Luis Posada Carriles. Residente a Miami in Florida, già membro della Brigata 2506 che nell’aprile 1961 ha preso parte alla fallita invasione della baia dei Porci, Posada Carriles è stato responsabile con Orlando Bosch dell’attentato del 6 ottobre 1975 all’aereo DC-8 della Cubana de Aviación, esploso poco dopo il decollo dalle isole Barbados provocando 73 vittime (l’allora direttore della CIA era George H. W. Bush).
Cinque informatori cubani sull’anticastrismo, utilizzati dal líder máximo per gettar luce sulle varie attività contro il governo cubano, sono invece Gérardo Hernández, Ramón Labañino, René González, Fernando González e Antonio Guerrero. Questi vengono arrestati dall’FBI il 12 settembre 1998 e tenuti in totale isolamento per diciassette mesi. In seguito viene avviato a Miami un processo contro di loro: i cinque, sebbene non sussistano prove su un’eventuale attività di spionaggio per «arrecare pregiudizio agli Stati Uniti», vengono accusati di «cospirazione», un capo d’imputazione che non necessita di prove dal momento che l’accusa può semplicemente dimostrare – sulla base di prove circostanziali – che un accordo tra i «cospiratori» per compiere un atto illegale «deve esserci stato».
Come sostenuto da Leonard Weinglass, avvocato statunitense che ha difeso anche gli ex Black Panthers Angela Davis e Mumia Abu Jamal, «ventiquattro dei loro capi d’accusa, di carattere tecnico e relativamente minori, si riferiscono all’utilizzo di documenti falsi e al mancato rispetto dell’obbligo di dichiararsi come agenti stranieri», anche se «nessuna di queste imputazioni comprende l’uso di armi, atti di violenza o la distruzione di beni».

Il verdetto sui cinque cubani giunge nel dicembre 2001: 15 anni di reclusione per René González, 19 anni per Fernando González, ergastolo per Gérardo Hernández, Ramón Labañino e Antonio Guerrero. Il 9 agosto 2005 tre giudici della Corte d’appello di Atlanta annullano la sentenza, motivando la decisione con il fatto che i cinque cubani non hanno subito un processo equo a Miami, ma tale decisione viene a sua volta annullata da una sentenza della Corte plenaria di Atlanta dell’11 agosto 2006. Il 9 agosto 2007 ha avuto luogo un’altra udienza d’appello davanti alla Corte suprema di Atlanta, ma ancora non si hanno notizie (i tre magistrati, infatti, non hanno alcun vincolo temporale per emettere il nuovo verdetto).