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Fidia

Scultore e pittore greco (Atene 490 a.C. circa – 430 a.C. circa).

Scultore e pittore greco (Atene 490 a.C. circa – 430 a.C. circa).

Figlio di Carmide, ateniese, fu dapprima pittore (v. pittura), come il fratello Paneno, e poi scultore, ed ebbe come maestro Egia ateniese, che lo guidò alla conoscenza dello stile severo. Lavorò il bronzo, il marmo, l’oro e l’avorio e raggiunse il culmine della sua attività e della gloria sotto il governo di Pericle, che lo chiamò a sovrintendere ai grandi lavori promossi sull’acropoli di Atene e, in particolare, alla decorazione del Partenone. Soggetti delle sue creazioni sono non gli atleti, ma gli dei e gli uomini che partecipano ai fatti divini.
Dopo la realizzazione della statua di Atena fu accusato in tribunale (432 circa) di essersi appropriato dell’oro e dell’avorio affidatigli per l’esecuzione della statua e poi, assolto da questa prima accusa, imputato di empietà poiché avrebbe ritratto se stesso insieme con Pericle sullo scudo della dea. Secondo alcuni sarebbe allora fuggito in Elide, secondo altri sarebbe addirittura morto in carcere. La statua crisoelefantina, cioè di oro e avorio, dell’Athena Parthénos (inaugurata nel 438 a.C.) era concordemente ritenuta dagli antichi il suo capolavoro; oggi non ne resta alcun frammento, ma solo dei disegni su monete e piccole copie, tra l’altro poco fedeli all’originale.

Misurava 12 metri di altezza e rappresentava la dea in piedi con peplo sulle spalle, l’egida sul petto, una Vittoria nella mano destra appoggiata a una colonnina, la lancia accostata alla spalla sinistra e la mano sinistra appoggiata sullo scudo messo a terra. Accanto a questo (decorato all’interno con una gigantomachia e all’esterno con una amazzonomachia) era il serpente Erittonio. Sull’orlo dei sandali erano rappresentati episodi della lotta tra centauri e lapiti e sul basamento della statua la nascita di Pandora.
Della statua si ebbero numerose imitazioni e riproduzioni in misure minori, talvolta limitate a singole parti come la testa o lo scudo (Athena del Varvakeion, gemma di Aspasio, scudo Strangford). Altro capolavoro dell’artista greco era la statua crisoelefantina di Zeus (14 metri compresa la base) eseguita per il tempio di Olimpia (448 circa). Il dio era raffigurato assiso su un trono sontuosamente decorato, con in testa la corona d’olivo, nella destra la Vittoria, nella sinistra lo scettro con l’aquila, sulle spalle il mantello d’oro figurato. Dichiarato una delle sette meraviglie del mondo, ce ne resta un’immagine nella riproduzione eseguita in età adrianea su una moneta dell’Elide. Caratteristica costante delle statue di divinità realizzate dallo scultore greco è la loro monumentalità.
Le misure colossali erano rese, insieme con il rivestimento con materiali preziosi e i ricchi particolari, con l’intento non di evidenziare la perfezione delle forme, quanto piuttosto di rendere la statua degna di rappresentare e incarnare l’essenza divina. Per tutte le altre opere di Fidia ricordate dalle fonti sono stati fatti vari tentativi di riconoscimento sia pure attraverso copie di età romana o in frammenti dispersi in diversi musei (così un torso dell’Albertinum di Dresda e una testa del Museo civico di Bologna sarebbero copie dell’Atena Lemnia dell’acropoli; l’Amazzone da villa Adriana sarebbe copia di una celebre Amazzone ferita; la crisoelefantina Afrodite Urania dovrebbe essere riconosciuta in una copia dei Musei di Berlino e la colossale Atena Promachos, in bronzo, collocata tra i Propilei e l’Eretteo, sarebbe riprodotta in alcune monete ateniesi).
Ma per la maggior parte delle creazioni dello scultore (Atena Areia di Platea, Atena criselefantina di Pellene, Afrodite per Atene, Atena eseguita in gara con Alcamene ecc.) nulla resta che possa in qualche modo ricordare o ripetere gli originali. Restano invece i marmi superstiti del Partenone (ora in gran parte al British Museum di Londra), la cui decorazione scultorea è stata definitivamente attribuita dalla critica più recente alla concezione unitaria, se non alla realizzazione materiale, di Fidia. L’artista dovette lavorare con i suoi allievi alla decorazione plastica del Partenone tra il 447 e il 432 a.C. dando vita a 92 metope, 159 metri di fregio e 40 statue. La sua arte si manifesta soprattutto nei passaggi trasparenti e vibranti, nella potenza del nudo e nel ritmo creatore di una staticità ieratica. Ebbe una numerosa schiera di allievi e diede un’insuperabile impronta all’arte greca (v. Grecia), collocandosi come il massimo esponente dell’età d’oro della civiltà classica dell’Ellade.