Delle due parole greche che compongono il termine «filosofia» (φιλος «amico» e σοφια «saggezza»)…
Delle due parole greche che compongono il termine «filosofia» (φιλος «amico» e σοφια «saggezza»), la prima indica l’aspirazione verso un qualcosa che ancora non si possiede pienamente, la seconda l’oggetto verso cui l’aspirazione tende.
I vari modi di intendere la filosofia variano anzitutto secondo che si accentui maggiormente il primo aspetto, costituito dalla ricerca personale, oppure il secondo, che riguarda più il contenuto della dottrina che la ricerca stessa. Ma, a parte questa distinzione (che riguarda la forma mentis del singolo filosofo), storicamente le varie filosofie differiscono anche per il modo di intendere la stessa saggezza.
I due tratti dominanti delle filosofie dell’antica Cina (confucianesimo, taoismo) e India (induismo, jainismo, buddismo) sono il riconoscimento che il sapere è frutto di una rivelazione di origine divina e la consapevolezza del carattere contemplativo della filosofia, in grado di liberare l’uomo dai rapporti con il mondo. Il pensiero greco (v. Grecia), invece, riconosceva la filosofia come un’attività teoretica riguardante l’origine e il significato della realtà nella sua totalità. Inizialmente, presso i greci, il termine «filosofia» fu inteso nel senso molto vasto di desiderio di cultura in generale. Per i greci, infatti, il termine significava «sapere» e riguardava quindi anche la saggezza politica; è per questo che legislatori e politici furono chiamati «filosofi» e tale significato ritornò anche con la sofistica. La filosofia divenne così abilità pratica di discutere su tutto, capacità di persuasione. E discussione rimase anche per Socrate, che discuteva perché conscio di non sapere nulla. Non era scetticismo il suo, bensì coscienza che la verità esiste. La filosofia divenne così dialogo in cui gli uomini cercano l’amore e slancio di tutta l’anima verso la verità che deve costituire anche la guida della nostra vita.
Questo aspetto dinamico dell’aspirazione fu dominante anche in Platone, ma in lui non fu mai tensione verso un qualcosa di irraggiungibile, bensì verso l’idea, che è verità e fondamento immutabile di ogni realtà. L’idea, insieme presente e trascendente, provoca un’insoddisfazione che sempre rinasce, perché la verità è sempre posseduta ma, in quanto inesauribile, sempre ci supera. Aristotele, inoltre, delimitò, all’interno della filosofia intesa come scienza complessiva, una filosofia in senso stretto, che chiamò «filosofia prima» ({tip La metafisica è quella branca della filosofia che, superando gli elementi dell’esperienza sensibile, si concentra sugli aspetti considerati più autentici e fondamentali della realtà, adottando una prospettiva il più possibile ampia ed universale.} metafisica{/tip}): si tratta della scienza che studia l’essere in quanto essere e le sue proprietà essenziali. Con gli stoici e gli epicurei (v. Epicuro), invece, la filosofia divenne una tecnica di vita. Le condizioni sociali e politiche, infatti, erano mutate e con esse la situazione spirituale; era caduta la fiducia incrollabile di Platone, che non aveva mai cessato di vagheggiare la realizzazione dello stato perfetto. Prevalse così un atteggiamento difensivo di fronte agli avvenimenti esteriori, che avrebbero potuto turbare la pace dello spirito. La concezione epicurea della realtà scaturì dall’intento di assicurare all’uomo la liberazione da ogni ansia della morte, di una sopravvivenza dell’anima, di una sua possibile punizione e dal timore di qualsiasi intervento divino nel mondo.
Intanto, però, la cultura greca incominciava a subire gli influssi sia della civiltà romana (che, con Cicerone, confutò le pretese stoiche di attribuire certezza all’esperienza sensibile e identificò la società e lo stato come ambiti di realizzazione propri della filosofia) sia delle civiltà orientali (che le comunicarono la loro ansia e problematica religiosa).
Con Plotino ci troviamo di fronte all’ultimo tentativo di costruire un sistema filosofico nel senso classico, pur nell’aderenza alle nuove esigenze; da quel momento in poi, la precisazione dei rapporti tra filosofia e religione doveva essere compiuto della filosofia cristiana (v. cristianesimo). Già in Clemente Alessandrino troviamo affermato che la rivelazione e l’intelligenza umana sono inscindibili: l’uomo ha l’impegno di andare verso la rivelazione, di cercare di chiarirla a sé e di esprimerla a sé e agli altri. Questo comporta un atteggiamento di compartecipazione, di complementarità tra il naturale e il soprannaturale senza mai togliere a quest’ultimo la sua trascendenza. Per sant’Agostino l’uomo non ha nessuna ragione di filosofare se non per essere beato. Di qui un ritorno all’aspetto essenziale del desiderio di salvezza, all’autentica ricerca di verità, non più soltanto tecnica di vita. Agostino visse il rapporto tra ragione e rivelazione come unità concreta di vita, che non è mai confusione.
Il concetto di «filosofia» della scolastica, invece, si avvicina a quello di Aristotele: per Alberto Magno, oggetto della filosofia è tutto ciò che si può sapere e la filosofia si divide in philosophia realis (comprendente la metafisica, la filosofia naturale e la matematica) e philosophia moralis (o pratica). Il problema dei rapporti tra ragione e fede rimaneva predominante. Alcuni condannavano decisamente ogni valore della dialettica, altri la esaltavano. La tradizione agostiniana, che andava sviluppandosi nel medioevo, vedeva nelle creature solo immagini, picturae, di Dio ed era incline a estenuare la consistenza degli esseri creati. Sant’Anselmo voleva provare alcune verità di fede con la ragione e san Tommaso tentò una soluzione equilibrata del problema, attribuendo una consistenza ontologica all’essere creato e valorizzando l’apporto delle ragioni umane.
Contemporaneamente, in altri ambienti, si iniziò a mettere in rilievo i limiti dell’aristotelismo: Ruggero Bacone unì lo sperimentalismo alla concezione agostiniana dell’illuminazione divina; Giovanni Duns Scoto distinguendo la fede e la teologia dal sapere teorico e dimostrativo; Guglielmo di Occam ricorrendo all’esperienza come unico fondamento della conoscenza. Con lo sviluppo delle scienze matematiche e sperimentali, perciò, si pose il problema di precisare i rapporti fra la filosofia e la scienza: con Francesco Bacone si venne formando il nuovo concetto di «filosofia naturale», che tendeva a identificarsi con i principi più generali della scienza sperimentale e mirava a un dominio pratico della natura; con Galileo si sviluppò ulteriormente sia la nuova scienza sia la nuova filosofia naturale (in quanto la natura gli si presentava ordinata secondo le leggi matematiche). Da Cartesio a Kant, invece, la filosofia sembrò avvertire un senso di inferiorità nei confronti della scienza e tese ad adottarne il metodo per ottenere quella certezza che a essa invidiava.
Il tentativo più grandioso di dare alla filosofia, oltre che il metodo, la certezza della nuova scienza, si trova nell’Etica di Spinoza, mentre Leibniz cercò di trovare un metodo euristico universale, più profondo del comune metodo scientifico e tale da poter permettere la soluzione sia dei problemi scientifici che di quelli filosofici con il semplice calcolo. L’illuminismo mise poi in luce soprattutto il momento della saggezza pratica, alla quale vennero subordinate, come mezzi, l’utilizzazione del progresso e la conoscenza razionale del reale. L’idealismo trascendentale, infine, si assunse il compito di superare tutti i dualismi insiti nel pensiero kantiano.
Così per Fichte il fondamento di ogni realtà è l’Io assoluto che crea, sottende e sorregge tutti gli io empirici e la filosofia è riflessione che ci riporta in contatto con lo slancio assoluto dell’Io. Per Schelling è compito della filosofia, intesa come scienza dell’Assoluto, chiarire l’accordo tra natura e spirito. Per Hegel la scienza propriamente detta, ossia l’indagine matematico-sperimentale, è una conoscenza astratta propria all’intelletto, che non riesce a cogliere la realtà vivente, nel suo movimento dialettico, ma la spezzetta uccidendola.
Ma la soluzione proposta dall’idealismo scontentò molti e i progressi notevoli delle scienze spinsero a considerare la scienza come la vera conoscenza concreta. Con il positivismo, perciò, essa occupò l’intero campo del sapere valido e, per Spencer, la filosofia diventò l’unità delle scienze. È lo stesso concetto di filosofia che troviamo nel neopositivismo, secondo il quale la filosofia nel suo significato vero e proprio non ha più ragione di esistere e solo la scienza diventa vera conoscenza.
A partire dalla fine del XIX secolo, tuttavia, il positivismo incominciò a essere messo in crisi da più direzioni: Friedrich Nietzsche contrapponeva i valori vitali alla morale cristiana e alla stessa scienza; Henri Bergson sosteneva l’incapacità da parte dell’intelligenza di comprendere la vita; Francis Herbert Bradley concepiva la filosofia come analisi del finito volta a risalire dall’apparenza alla realtà di ciò che è privo di contraddizioni; Giovanni Gentile e Benedetto Croce tentavano di costruire una teoria generale dello spirito in cui le scienze venivano relegate nel limbo dell’astrazione e del dominio pratico dello spirito; il neokantismo e l’empiriocriticismo attribuivano alla filosofia il compito di costruire una metodologia (più che di una metafisica della scienza, come pretendeva il positivismo classico); John Dewey arrivò a considerare il pensiero come uno strumento per la sopravvivenza biologica, mettendo in evidenza il carattere strumentale di tutti i processi conoscitivi.
Le trasformazioni avvenute nell’ambito delle scienze fisiche e matematiche tra il XIX e il XX secolo, inoltre, portarono a indagare i rapporti tra logica, matematica e linguaggio, fino a portare Ludwig Wittgenstein a considerare la filosofia non una dottrina, ma un’attività finalizzata allo scopo di depurare il linguaggio dagli equivoci e dalle «malattie» metafisiche e filosofiche alle quali poteva condurre. Su un altro versante, invece, si svilupparono la riflessione fenomenologica (che concepì la filosofia come abbandono dell’atteggiamento naturalistico, assegnandole l’obiettivo di raggiungere il punto di vista dello spettatore disinteressato in grado di contemplare le essenze nella loro purezza) ed esistenzialista (che, abbandonando l’esigenza di accedere alle essenze, identificò la filosofia nell’analisi del modo di essere dell’uomo nel mondo).