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Finanza

Settore dell’attività economica che si occupa della gestione della cosiddetta «ricchezza mobiliare»…

Settore dell’attività economica (v. economia) che si occupa della gestione della cosiddetta «ricchezza mobiliare»: moneta, crediti, divise estere (insieme dei mezzi di pagamento con i quali si possono saldare debiti all’estero), titoli azionari, obbligazioni). Tale ricchezza (detta anche «capitale finanziario») è caratterizzata da una elevata mobilità nel tempo e nello spazio, ulteriormente accentuata sia dalla possibilità di trasmettere, per via informatica, informazioni a grande distanza, sia dall’allentamento dei controlli e degli impedimenti che in passato erano posti dalle legislazioni bancarie e valutarie (deregolamentazione finanziaria).
Grazie a questi mezzi (che permettono di investire e disinvestire il capitale finanziario in settori economici diversi e in aree geografiche lontane), l’operatore finanziario può dedicarsi sia all’ottenimento della massima resa economica degli impieghi (interessi, dividendi, profitti speculativi) sia all’obiettivo di controllare gruppi di società anonime mediante l’acquisto di pacchetti azionari.

Quest’ultimo aspetto (relativo al controllo esercitato dai gruppi finanziari sulle società per azioni è particolarmente importante: da un lato, infatti, le grandi imprese hanno necessità di procurarsi i capitali necessari alla loro attività produttiva sui mercati finanziari; dall’altro, tale dipendenza del settore produttivo da quello finanziario porta gli amministratori delle imprese industriali (v. industria) a modellare le proprie politiche sulle esigenze degli investitori, perseguendo così l’obiettivo della cosiddetta «creazione di valore dell’azionista» (obiettivo non sempre coincidente con la migliore valorizzazione dell’impresa da un punto di vista produttivo).

Con il termine «finanza pubblica», invece, ci si riferisce al complesso dei beni degli enti pubblici; nell’ambito di tale accezione, si fa la distinzione tra finanza fiscale ed extra-fiscale, secondo che ci si riferisca ai soli mezzi monetari (in gran parte costituiti dalle entrate tributarie) oppure a tutto il complesso degli interventi pubblici nell’economia di mercato. Si distingue inoltre tra finanza ordinaria e straordinaria, secondo che i mezzi monetari vengano trasferiti dal settore privato a quello pubblico come parte del reddito o come parte del patrimonio.

La scienza delle finanze è la disciplina che studia tutte le attività economiche che hanno luogo in una particolare situazione, nella quale esistano due soggetti agenti: l’uno più forte (lo stato), che impone le proprie scelte; l’altro più debole (la collettività), che le subisce. La scienza delle finanze non si limita a definire i soli effetti economici delle entrate e delle spese pubbliche, ma tende, almeno teoricamente, a comprendere tutte le attività dello stato che interferiscono sull’economia privata; in altre parole lo stato assorbe, coattivamente, una parte delle risorse private (mezzi) e le dirige verso scopi suoi determinati (fini), che sono nell’interesse della collettività.

Le origini della scienza delle finanze sono nelle opere degli economisti della scuola classica inglese della seconda metà del XIX secolo, epoca in cui cominciava a svilupparsi in pieno l’attività finanziaria. Presso questi scrittori (Smith, Ricardo, Say, McCulloch), il problema finanziario si presentava però ancora come parte del più generico problema economico.

Agli inizi del XX secolo, invece (a opera di economisti come Pantaleoni, Sax, De Viti De Marco e Wicksell), gli aspetti peculiari della scienza delle finanze vennero messi in luce e analizzati, dando vita a un corpo di dottrine indipendenti dall’economia politica.

La caratteristica principale dell’indirizzo di tali pensatori è di avere scientificamente elaborato i principi e le leggi della cosiddetta «finanza neutrale», ossia di quella attività che non tende a mutare le scelte individuali, ma soltanto a recuperare il costo dei servizi pubblici offerti alla collettività. Con l’affermarsi del pensiero keynesiano, inoltre, si riconobbe come il mercato non sia capace da solo di assicurare la piena occupazione; ciò portò a una nuova concezione della finanza pubblica e si affermò che lo stato deve assicurare la stabilità economica e il raggiungimento della piena occupazione.
Le imposte, dice a tale proposito Abba P. Lerner, non servono a coprire il costo dei servizi pubblici, ma a ridurre la domanda effettiva; il debito pubblico, inoltre, non serve a coprire le spese straordinarie, ma a ridurre il grado di liquidità della collettività.