Francesco Castelli, che prese il nome di Borromini, nacque a Bissone (Lugano, nel Canton Ticino) nel 1599
Francesco Castelli, che prese il nome di Borromini, nacque a Bissone (Lugano, nel Canton Ticino) nel 1599, da Domenico Castelli, un architetto al servizio di casa Visconti.
Molto giovane iniziò a lavorare a Milano come scalpellino nella fabbrica del duomo, giungendo a Roma nel 1619 con la qualifica di tagliapietre; come tale fu impiegato nei cantieri di Carlo Maderno, un suo lontano parente. Questi, architetto molto famoso nell’ambiente romano, presiedeva a tutti i lavori più prestigiosi che venivano realizzati nell’ambito della corte papale: il cantiere di San Pietro, palazzo Barberini (per il potente cardinale Maffeo Barberini, che diventerà papa nel 1623 con il nome di Urbano VIII), Sant’Andrea della Valle (chiesa e cupola) ecc.
Alla morte di Maderno, nel 1629, il Bernini ereditò tutti i suoi principali lavori. Così Borromini si trovò a lavorare sotto la direzione berniniana e avvenne l’incontro tra due dei più grandi artisti del secolo, caratterizzati da personalità e competenze professionali assai diversi. Bernini, colto, raffinato, dal carattere estroverso, amato e stimato dal papa e dai grandi personaggi della corte papale, considerava l’architettura come la sintesi delle arti: pittura e soprattutto scultura, in cui eccelleva. Era un gentiluomo brillante e spiritoso che si muoveva nella corte papale con disinvoltura alla pari con altri personaggi di rilievo. Ebbe notevole successo e per questo ottenne sempre grandi commissioni, tranne per una breve parentesi nel primo periodo del pontificato di Innocenzo X. Borromini era di carattere schivo e riservato, orgoglioso e chiuso, non ebbe buoni rapporti con la committenza, era una personalità di grande rigore morale e professionale, suscettibile e intransigente.
Fu un grande estimatore di Michelangelo cui lo legava anche, oltre all’enorme ammirazione, la terribile tensione e la accesa, tormentata spiritualità.
Egli era arrivato all’architettura da tecnico e per i suoi esordi artigianali raggiunse una grande professionalità come costruttore: la sua tecnica sbalorditiva gli fu utile per giungere alla più alta libertà di stile. Era culturalmente un autodidatta molto interessato all’architettura antica, che disegnava e studiava attentamente.
Nei cantieri dove lavorò dette prova di grande perizia, oltre a dimostrazioni di creatività ed espressività.
Si riconoscono come sue alcune finestre dell’ultimo piano, ai lati del corpo centrale, di palazzo Barberini, le cancellate in ferro battuto di San Pietro e il suo intervento per il baldacchino di San Pietro. Bernini, consapevole della sua bravura, lo raccomandò all’ordine dei trinitari che dovevano costruire il convento e la chiesa. Così il Borromini ebbe, nel 1638, il suo primo lavoro: il chiostro di San Carlo alle Quattro Fontane.
Il complesso rappresenta il primo e l’ultimo lavoro dell’artista perché la facciata della chiesa sarà conclusa solo nel 1665, due anni prima della sua morte.
Lavorò a palazzo Spada, per cui progettò la famosa galleria prospettica, a palazzo Falconieri, progettò il convento dei Filippini nel 1637 e, allorché salì al pontificato Innocenzo X Pamphilj, ebbe diversi incarichi importanti, come la ristrutturazione di San Giovanni in Laterano, ove egli rivestì in modo audace e rivoluzionario le vestigia dell’antica basilica costantiniana, il progetto di Sant’Ivo alla Sapienza, l’atrio di palazzo Carpegna.
Iniziò Santa Maria dei Sette Dolori (1652, non finita), Sant’Agnese nel 1652-57, il prospetto del palazzo di Propaganda Fide (1660-62), il campanile di Sant’Andrea delle Fratte e infine la facciata di San Carlino alle Quattro Fontane. Morì suicida nel 1667.