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Giovanni Calvino

Calvino, Giovanni (francese Jean Calvin, da Calvinus, latinizzazione di Cauvin; Noyon, Piccardia, 1509 – Ginevra 1564).

Calvino, Giovanni (francese Jean Calvin, da Calvinus, latinizzazione di Cauvin; Noyon, Piccardia, 1509 – Ginevra 1564).Riformatore religioso francese. 

Di famiglia cattolica, fu avviato agli studi ecclesiastici. Nel 1524 iniziò a Parigi il corso di Filosofia prima e poi di Teologia al collegio di Montaigu. Interrotti per breve tempo gli studi teologici, sotto la pressione del padre che voleva farne un giurista, C. li riprese qualche anno dopo (1529) all’università di Bourges, dove conobbe l’umanista tedesco M. Wolmar, seguace di Lutero, che l’avviò allo studio dell’ebraico e gli fece conoscere il Nuovo Testamento in greco edito da Erasmo. Negli anni 1532-1534 dovette maturare la crisi religiosa di C. e la sua conversione alla Riforma.
Se, come molti ritengono, fu lui l’autore del discorso che N. Cop, rettore dell’università, aveva pronunciato per l’inaugurazione dell’anno accademico, nella chiesa dei maurini a Parigi, la sua adesione al luteranesimo può essere datata al primo novembre del 1533: nel discorso, infatti, si trova affermato il principio della giustificazione gratuita. Costretto a fuggire dalla Francia, C. si diresse verso quei paesi renani dove la Riforma protestante era ormai diffusa: attraverso Metz raggiunse Strasburgo e, dopo una breve sosta, Basilea.
Qui C. portò a compimento e pubblicò l’opera che doveva porlo in primo piano fra i protagonisti della Riforma: la Institutio Christianae Religionis. Pubblicata in latino nel 1535, fu successivamente ampliata nell’edizione francese. L’opera è un’esposizione completa di ciò che si è convenuto poi chiamare calvinismo: il suo pensiero sulla fede, la legge, la spiegazione del Vangelo e i sacramenti vi si trovano già chiaramente formulati. A Basilea C. non rimase per molto tempo: dopo un viaggio a Ferrara alla corte di Ercole II, la cui moglie Renata di Francia era sua fautrice, andò a Ginevra, dove il riformatore G. Farel lo convinse a rimanere, poiché il consiglio della città aveva adottato la Riforma. G. Farel e C. proposero gli Articuli de regimine Ecclesiae per sostituire cioè il culto cattolico con il culto riformato, formulare una dottrina che si potesse imporre a tutti i cittadini e per stabilire un controllo sulla vita e sui costumi della città. Il consiglio cittadino approvò all’inizio la loro azione e nelle chiese, divenute «templi», spoglie di ogni ornamento e immagine, il culto divino fu ridotto ad alcune preghiere, a un sermone e al canto dei salmi; anche la cena eucaristica fu celebrata in forma protestante.
La Confession de foi, una specie di catechismo estratto dall’Institutio, fu, sempre con decreto del consigio, imposta a tutti i cittadini. Decisa opposizione incontrò invece C. in molti ginevrini sul terzo punto del suo programma: la riforma dei costumi. Un partito degli amici della libertà (libertini), con l’appoggio della grande borghesia, nelle elezioni del 1538, ottenuta la maggioranza nel nuovo consiglio, proibì a C. e al Farel di predicare. Avendo essi trasgredito l’ordine, furono espulsi. C. riparò a Berna prima, di lì a Basilea e infine a Strasburgo, dove lo aveva invitato M. Butzer.
Fu questo (153815-41) un periodo calmo nella sua vita: si dedicò all’insegnamento della teologia e della Sacra Scrittura, curando la seconda edizione dell’Institutio e rispondendo alla lettera del Sadoleto ai Ginevrini. Nell’autunno del 1540 si unì in matrimonio con Idelette de Bure, vedova di un anabattista da lui convertito. Nel 1541 accompagnò il Butzer, come suo segretario, ai colloqui di Hagenau e di Worms. A Ratisbona, dove fu fatto un ultimo tentativo di pacificazione C. fu ufficialmente uno dei tre delegati di Strasburgo insieme con G. Sturm e il Butzer. Intanto a Ginevra la situazione si era di nuovo volta in suo favore e il gran consiglio lo aveva invitato a ritornare. I registri della città conservano ancora tracce della deliberazione nella quale il gran consiglio aveva deciso «di pregarlo di prendere dimora qui, e di andarlo a prendere con la moglie e la famiglia». Dopo qualche esitazione C. acconsentì alle pressanti insistenze, non senza tuttavia porre delle condizioni che, praticamente, lo rendevano arbitro della situazione. Con il ritorno a Ginevra si apre il periodo fondamentale della sua vita. C. aveva 32 anni e poteva finalmente attuare il programma che aveva esposto nell’Institutio.
All’indomani del suo arrivo chiese ai consigli della città di far preparare da una commissione una serie di ordinanze, per formulare lo statuto della città. In pratica redasse poi da solo le Odonnances ecclésiastiques de l’Église de Genéve, con le quali organizzava tutta la vita domestica e sociale dei cittadini a norma della sua dottrina. Il 20 novembre l’assemblea del popolo, convocata nella pianura di Molard, votò all’unanimità un decreto che stabiliva «un governo concesso al Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo». Un governo teocratico quello che C. aveva voluto, in cui lo Stato era sottomesso alla Chiesa, con il compito di far osservare la legge divina ai sudditi. Il governo effettivo era esercitato dalla classe dei predicatori, riuniti in assemblea generale o congregazione. I compiti erano così distribuiti: i ministri della parola costituivano l’elemento essenziale della comunità, predicavano il Vangelo, amministravano i sacramenti, insegnavano, riprendevano in privato e in pubblico i cittadini e preparavano i futuri pastori. I primi furono scelti da C. stesso, il quale teneva per loro istruzioni ogni venerdì. C’erano poi i dottori con il compito di fare scuola e di educare la gioventù.
Gli anziani, invece, dodici come gli apostoli, avevano cura della disciplina. Erano scelti fra uomini «di vita proba, onesti e senza macchia, superiori a ogni sospetto, e soprattutto pieni di timor di Dio», e in modo che rappresentassero tutti i quartieri della città. I diaconi, infine, dovevano visitare i malati e soccorrere i poveri. C. volle che s’istituisse anche un concistoro, una specie di tribunale, composto dai sei ministri e dai dodici anziani, che si riuniva ogni settimana e vigilava sulla disciplina e che aveva il potere anche d’infliggere, in caso di mancanze, delle pene, che l’autorità civile doveva far eseguire. Non bisogna pensare che i Ginevrini accogliessero troppo di buon grado questo ordinamento: oltre le difficili controversie dottrinali, quali quella con G. Bolsec e quella ancor più grave con M. Serveto, C. incontrò assai spesso l’opposizione dei libertini.
L’episodio più grave rimane, tuttavia, la lotta con il riformatore M. Serveto. Autore di un trattato sulla Trinità, M. Serveto aveva scandalizzato cattolici e protestanti. In polemica con C. e in evidente opposizione alla sua opera Institutio, aveva pubblicato una Christianismi restitutio. Fuggito da Vienna, dove era stato condannato, il Serveto era passato da Ginevra, con il desiderio di vedere C. Riconosciuto, fu arrestato e accusato di eresia e di bestemmia. C. stesso portò avanti l’accusa e con molta durezza. Il processo, se condotto su controversie teologiche, minacciava di protrarsi troppo a lungo: C. allora non esitò ad accusare M. Serveto di dottrine sovvertitrici, oltre che della religione, anche dell’ordine pubblico.
Il Serveto fu condannato al rogo. Non tutti furono d’accordo con C. e non mancò chi considerò la sentenza illegale. C. scrisse un’apologia del proprio atto: Defensio orthodoxae fidei. Ormai era il padrone assoluto di Ginevra e tale rimase fino alla morte. C. fondò a Ginevra l’Accademia, una vera università a carattere internazionale. Nel 1564 essa contava non meno di 1200 allievi nel complesso dei suoi collegi secondari e più di 300 studenti di grado superiore.