Poeta tedesco (Francoforte sul Meno 1749 – Weimar 1832).
Poeta tedesco (Francoforte sul Meno 1749 – Weimar 1832). Johann Wolfgang von Goethe era figlio del dottor Johann Kaspar, agiato borghese di Francoforte, e di Katharina Elisabeth Textor.
A Lipsia, dove si iscrisse all’università per volere del padre, che voleva fare di lui un giurista, preferì frequentare la colta e spregiudicata società di intellettuali e artisti piuttosto che studiare legge. Nel 1770, dopo essere tornato a Francoforte per una malattia, si recò a Strasburgo per terminare gli studi, e qui conobbe e frequentò uomini geniali come Lenz e Herder, intrecciando una relazione con Frederike Brion.
Diplomatosi in diritto, si recò a Wetzlar per fare pratica d’avvocato. Qui si innamorò perdutamente di Charlotte Buff, la bella fidanzata di un suo amico e, per fuggire i pericoli di quella passione, tornò di nuovo a Francoforte. Vi si trattenne fino al 1775, facendo tuttavia frequenti e anche lunghi viaggi e stringendo amicizia con autorevoli personalità della cultura e delle lettere, tra cui Klopstock, Lavater e i fratelli Jacobi. Su invito del principe Karl August di Weimar, si trasferì a Weimar; questa città divenne da allora la sua seconda patria e vi rimase per il resto della vita.
L’invito del principe e le conoscenze e amicizie di letterati erano dovuti soprattutto alla fama di cui ormai godeva; in quegli anni, infatti, aveva già composto opere di grande pregio e notorietà, e tra queste il Goetz di Berlichingen (1773), dramma potente che dava vita a un nuovo teatro cavalleresco dipingendo un violento e irrequieto mondo medievale (v. medioevo) e promovendo il movimento dello Sturm und Drang. Aveva già tentato il teatro con una commedia in versi, I complici (1768-1769), ma la più notevole opera di quel periodo fu senza dubbio I dolori del giovane Werther (1774). Innamorato di Charlotte Buff e sotto l’impressione del suicidio per amore di un giovane amico di Wetzlar, aveva scritto in tre mesi il romanzo epistolare che subito, in Germania e all’estero, gli aveva dato fama di grande scrittore, facendone anche uno dei principali animatori del movimento romantico (v. romanticismo), dal quale in seguito si staccò nettamente. Sono di questo tempo anche il frammento Prometeo, i drammi Stella e Clavigo e alcune liriche suscitate da ripetute crisi sentimentali.
Nominato nel 1779 consigliere intimo e, nel 1782, presidente della camera di Finanza e insignito di titolo nobiliare, fu l’animatore della corte di Weimar che, per merito suo, divenne il centro spirituale della Germania. La sua indole impetuosa e ribelle sembrò placarsi nella fastosa monotonia della vita di corte, tuttavia Goethe finì per sentirsene oppresso e, agitato anche da un nuovo amore, forzatamente platonico, per la signora Charlotte von Stein, decise di recarsi in Italia.
Compì così, dal 1786 al 1788, il suo famoso pellegrinaggio culturale nella penisola e in Sicilia, arricchendo il suo spirito di nuove impressioni indelebili e trovando inesauribili ispirazioni alla propria attività creatrice. In Italia conobbe artisti e letterati tedeschi e italiani: i pittori Wilhelm Tischbein e Angelica Kaufmann, lo storico dell’arte Heinrich Meyer, e poi Vincenzo Monti, Gaetano Filangieri, Gregorio Allegri ecc. Tornato a Weimar, si legò a Christiane Vulpius, che divenne sua moglie. Da lei ebbe parecchi figli, morti tutti ancora bambini, tranne il primogenito August, che visse fino al 1831. Egli si consacrò allora alacremente al teatro di corte, di cui fu direttore per ben 26 anni. Con il principe Karl August partecipò anche, dal 1792 al 1793, alla campagna tedesca contro la Francia rivoluzionaria (v. rivoluzione francese), registrando le proprie impressioni nella Campagna di Francia, un diario dall’agosto al novembre 1792. Nel 1794, l’amicizia con Friedrich Schiller diede inizio a un’epoca nuova nella vita dei due grandi poeti. Tra le opere teatrali di quel periodo spiccano Ifigenia in Tauride, Egmont, che esalta il sacrificio della vita per la patria, e Torquato Tasso, dramma dell’amore disperato che trova conforto nella poesia. Del 1788 sono le Elegie romane, dominate dai lieti ricordi di Roma; quasi anti-italiani sono invece gli Epigrammi veneziani (1790), ma la salda ammirazione per l’Italia e la trasformazione dello spirito goethiano sotto l’influenza dell’arte e del paesaggio della penisola si rivelano nei capitoli di Viaggio in Italia, pubblicato integralmente nel 1817.
Dalla collaborazione con Schiller nacquero le Horen di Schiller (1795-1797), una rivista storico-culturale, e L’Almanacco delle Muse (1797-1800) anch’esso di Schiller, ma largamente alimentato da Goethe e da altri insigni scrittori. La comune attività fu troncata nel 1805 dalla prematura scomparsa di Schiller. Nel 1797 Goethe pubblicò La fidanzata di Corinto, L’Apprendista stregone e altre famose ballate. Aveva intanto ripreso un precedente impegno e scriveva il romanzo di Wilhelm Meister, un giovane affascinato dal teatro e dalla pittoresca vita dei comici. L’opera, Le esperienze di Wilhelm Meisters (1795-1796) era un romanzo culturale che, subito tradotto in più lingue, trovò molti imitatori, specialmente romantici. Nel 1795 fu pubblicato il dramma La figlia naturale, primo lavoro di una trilogia mai compiuta, ispirata dai rivolgimenti sociali della rivoluzione francese.
Del 1809 è il romanzo Le affinità elettive, acuta analisi di sentimenti non sempre dominati dalla ragione. Successivamente pubblicò quasi per intero l’autobiografia Dalla mia vita. Poesia e verità, la raccolta di liriche Divano occidentale-orientale (1814-1818), alcune famose liriche come l’Elegia di Marienbad (1823), vari saggi scientifici tra cui la Teoria dei colori e il secondo volume del Meister (1829).
Alla sua gloria dà il massimo splendore il Faust, poema drammatico che si affianca alle maggiori opere letterarie di tutti i tempi. Concepito nel periodo della giovinezza, il Faust fu compiuto nel 1830. In esso il poeta elaborò una leggenda popolare formatasi intorno a un bizzarro personaggio realmente vissuto che aveva fama di mago. Nel poema (rappresentato innumerevoli volte), Faust è un vecchio studioso che non ha mai saputo penetrare il mistero delle cose ed è sul punto di togliersi la vita per disperazione. La serena letizia degli umili che celebrano la Pasqua sembra confortarlo, ma Mefistofele, il genio del male, lo tenta e lo travia.
In cambio della riconquistata giovinezza, Faust gli vende l’anima e nell’amore per una semplice fanciulla, Margherita, germoglia in lui una nuova speranza di felicità. Mefistofele contrasta questa redenzione, inducendo Faust a sedurre Margherita e a ucciderne il fratello in duello. Margherita è condannata per infanticidio. Faust vorrebbe salvarla, ma lei ha orrore di lui e preferisce la morte. Sarà Dio a salvarla. Nella seconda parte Faust soggiorna con Mefistofele alla corte imperiale e vuole conquistare la suprema bellezza, che gli compare nell’immagine della classica Elena. Con essa, che si materializza, egli genera Euforione, simbolo vivente della perfezione artistica; ma questi presto soccombe nel tentativo di volare nel Sole, e anche la madre muore con lui: è il fallimento dell’arte classica sognata come ciò che può appagare ogni più alta aspirazione.
Faust capisce allora che la salvezza è tutta nell’operare, nel creare grandi opere, e si accinge a redimere una terra desolata; ma ormai è quasi centenario. L’ora del patto scocca, tuttavia alla morte di Faust Mefistofele non può impadronirsi della sua anima. L’anelito alle grandi cose ha salvato l’uomo, che Margherita stessa accompagna in cielo. Faust è dunque il poema dell’aspirazione eterna alle cose più nobili e alte, è l’inno della speranza dell’umanità che, pur tra tentazioni, peccati, vergogne e dolori, può, operando e creando, affermare la propria superiorità su tutti gli esseri.
Così nel Faust si manifesta per intero la personalità genuina del poeta, che raccoglie da ogni parte sensazioni, percezioni e immagini, e le rivolge tutte al fine della creazione artistica, senza mai esserne sopraffatta. Anche i casi della vita, e soprattutto le frequenti esperienze sentimentali, diventano fonti continue di poesia. Esperto ragionatore e brillante dialettico, Goethe non è però un filosofo. In questo si differenzia profondamente da Schiller. A lui il raziocinio serve soltanto per distinguere e coordinare le percezioni e le immagini nell’armonia dell’arte, ed è superato poi dall’impeto creativo. Ritratto mirabilmente da Johann Peter Eckermann nei Colloqui col Goethe negli ultimi anni della sua vita (1837), il poeta ci appare nell’intimità quotidiana degli ultimi anni della sua vita.
Vano è ogni tentativo di inscriverlo in una qualsiasi corrente letteraria poiché superò sempre ogni limite o schema di scuole o di concezione estetica, ritrovando solo in se stesso le fonti e le leggi della sua poesia.