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I linguaggi settoriali, seconda parte

Uno dei linguaggi settoriali più diffusi e conosciuti è sicuramente quello sportivo.

Uno dei linguaggi settoriali più diffusi e conosciuti è sicuramente quello sportivo. Da un capo all’altro della nostra penisola persone di strati sociali diversi e magari di dialetti lontanissimi sono accomunate da questa terminologia che consente loro di discutere degli ultimi avvenimenti sportivi o delle imprese dei loro campioni preferiti. L’argomento, per molti coinvolgente, trattato senza economia di spazi sia sui giornali sia alla televisione, induce alla creazione di un linguaggio comprensibile a tutti gli appassionati: una specie di lingua comune che, a partire dai termini tecnici di ogni disciplina sportiva, va arricchendosi con vocaboli nuovi e con esposizioni spesso vivaci e colorite.

Un importante aspetto del linguaggio sportivo è la massiccia presenza di termini provenienti da lingue straniere, soprattutto dall’inglese. Questi stranierismi sono ormai entrati nel linguaggio sportivo al punto che risulterebbe difficile rinunciarvi o sostituirli con un termine italiano adeguato. Così si parla comunemente di set di una partita di tennis, di giocatori che giocano un lob, oppure di tie-break nel caso di spareggio per terminare un set finito in parità. Lo stesso termine sport proviene dalla lingua inglese ed è ormai entrato definitivamente nella lingua italiana sia per indicare l’attività sportiva vera e propria, sia nel suo significato originario di passatempo, divertimento. La presenza di una vasta terminologia inglese è da far risalire al fatto che molti degli sport attualmente in voga in Europa sono stati regolamentati durante l’Ottocento e agli inizi del Novecento in Gran Bretagna; da qui le formule specifiche si sono poi diffuse nel continente, divenendo d’uso internazionale.

Abbiamo già osservato alcuni modi di dire del linguaggio sportivo confluiti nella lingua comune con un uso metaforico. Vogliamo ora analizzare alcune caratteristiche di questo linguaggio da un punto di vista più generale. È tuttavia importante ricordare che i giornali sono a loro volta l’espressione di un linguaggio settoriale, quello giornalistico appunto, con caratteristiche sue proprie. Limitiamoci comunque, per ora, agli esempi del linguaggio sportivo presenti in articoli di cronaca e di commento, senza dimenticare che in genere vi sono delle differenze tra lingua parlata e scritta, anche se molto spesso il linguaggio sportivo della carta stampata è il medesimo che utilizziamo per parlare degli avvenimenti agonistici con conoscenti e amici.

Una prima caratteristica è l’utilizzo di un vocabolo specifico per indicare le varie fasi e i diversi aspetti dei singoli sport. Nel calcio si dribbla un avversario o la palla finisce in corner, nel rugby si segna una meta o si placca un giocatore e così via. Tu stesso puoi elencare l’insieme di termini tecnici che conosci per ogni singolo sport. Ma accanto a questa terminologia specifica si ritrova sovente nelle cronache sportive, o anche nei nostri commenti orali, una serie di espressioni a effetto, di iperboli ed esagerazioni con cui si esalta un avvenimento sportivo o l’impresa di un campione.

Una partita di calcio viene spesso definita «scontro» o «battaglia»: l’aspetto agonistico è molto accentuato, giocatori e allenatori sono presentati a volte come eroi che lottano all’ultimo sangue. Osserva, a tal proposito, i seguenti titoli di articoli tratti da giornali sportivi:

Parma e Varese regine del Nord. Foggia e Messina patto d’acciaio («Gazzetta dello Sport», 8 luglio 1985)

Mazzone guiderà la riscossa («Tuttosport», 9 luglio 1985)

Allodi lancia la sfida («Tuttosport», 9 luglio 1985)

Disumano, quindi vincente

Oppure, ecco un esempio che riguarda un altro popolare sport, il tennis, e in particolare un giovane campione emergente:

Nell’articolo («la Repubblica», 9 luglio 1985) puoi ritrovare tu stesso i termini specifici del linguaggio sportivo del tennis (set, aces, testa di serie ecc.). Prevale però l’aspetto enfatico: il giocatore tedesco è il «dio biondo» che «azzanna» l’avversario e lo «fa fuori» in poco tempo. Egli è presentato come un eroe, al di sopra del genere umano e per questo vincitore. La distorsione del linguaggio sportivo non è dovuta qui allo sport in sé e al linguaggio specifico di cui ha bisogno per indicare i suoi molteplici aspetti: nasce dall’enfatizzazione della stampa e dall’esaltazione che noi stessi siamo indotti a fare dell’evento e dei suoi protagonisti.

Vi sono però anche dei casi in cui il cronista sportivo ha dato un positivo contributo di innovazione al linguaggio. Il più conosciuto a questo proposito è sicuramente Gianni Brera; alcuni nomignoli e appellativi che era solito dare ai calciatori sono diventati famosi famosi, quasi proverbiali, come

Bonimba, abatino, lavativo, svampito, gnocco

Come puoi constatare nel breve testo qui riportato («la Repubblica», 22 ottobre 1985) il giornalista ricorre a termini colloquiali («scorfano») e contemporaneamente ne introduce dei nuovi, spesso inventati di sana pianta («prestipedatore»), creando una prosa ricca di toni ironici ed epici. Il mondo calcistico, le partite e i loro protagonisti, sono inseriti in una mitologia dominata da «Eupalla» (altra simpatica invenzione verbale), una dea un po’ birichina che ispira anche il giornalista stesso. Ritroviamo così nelle sue cronache definizioni del tipo «legnatone alla Calligaris» (detto di un forte tiro in porta), «Re Armadio» (nomignolo affibbiato al terzino Briegel sulla base di un modo di dire dialettale lombardo che indica le persone di struttura fisica imponente come armadi) oppure «l’acromegalico Garella» (aggettivo nato dalla fusione di acrobatico + megale, termine, quest’ultimo, che deriva dall’aggettivo greco che significa «grande»).

Non tutti i cronisti possono, e sono in grado di permettersi tali licenze linguistiche, né noi dobbiamo infiorare i nostri discorsi sportivi di tali termini, ma è indubbio che essi portano una ventata innovativa nella nostra lingua ed alcuni, non a caso, vi permangono a lungo.

Interessante è pure il seguente titolo

Non sono un pincopalla qualsiasi, sono un re del gol

(«il Giorno», 9 luglio 1985)

in cui si è costruito un termine giocando sulla nota espressione «Signor Pincopallino» e «palla» (pallone da calcio) per dare l’idea di un giocatore mediocre, opinione che è rafforzata dall’accostamento dell’aggettivo «qualsiasi» alla parola «pinco palla».

Il linguaggio dello sport è ricco di termini che inseriti in un discorso sportivo assumono un preciso significato, ma che di solito sono usati anche nella lingua quotidiana o in altri linguaggi settoriali con un significato diverso. Pensiamo ad una parola molto comune: campo. Essa può indicare diverse cose: campo da gioco, campo gravitazionale, campo elettrico, campo di battaglia, campo magnetico ecc.

Ovviamente, se stiamo parlando di una partita è superfluo usare la specificazione «campo di gioco», già esplicitata dal contesto. Molte parole comuni rientrano nel linguaggio sportivo e non è necessario specificarle ulteriormente, perché il fatto stesso che si stia parlando di sport fa sì che esse assumano un preciso significato. Quando si indicano, ad esempio, i ruoli dei giocatori si parla di attacco e di difesa. Sono termini provenienti da un’area semantica indicante lo scontro bellico, ma in un contesto sportivo hanno, com’è evidente, un diverso significato.

Vi sono anche casi di termini molto usati nel linguaggio sportivo che indicano azioni differenti a seconda della disciplina cui si riferiscono. La battuta di un giocatore di tennis non è come la battuta di un giocatore di baseball, come pure lo scatto di Eddy Mercx non era identico a quello di Sandro Mazzola.

Troviamo pure casi di parole chiaramente provenienti da un altro linguaggio settoriale specifico che vengono riutilizzate in campo sportivo. Il significato della seguente frase

Il corridore è stato fagocitato dal gruppo («Domenica Sprint», 30 giugno 1985)

è chiaro: il ciclista in fuga è stato raggiunto dal gruppo inseguitore prima del traguardo. A ben vedere però, il verbo «fagocitare» è proprio del linguaggio della biologia, ove indica il caso di una cellula che ne ingloba un’altra, ed è stato usato qui in senso metaforico.

Consideriamo infine il titolo che segue («Tuttosport», 9 luglio1985) e il trafiletto («la Gazzetta dello Sport», 8 luglio 1985):

Tutto il valzer delle panchine

Tralasciamo i loro aspetti pittoreschi ed enfatici e interessiamoci a un termine che compare in entrambi: la panchina. Con essa si vuole indicare ovviamente l’allenatore di una squadra partendo da un elemento concreto: il sedile ove si siede a bordo campo durante le partite. In un caso si parla di un allenatore non gradito ai tifosi, nell’altro si allude ai trasferimenti degli allenatori da una squadra all’altra durante il periodo estivo. In modo analogo nel linguaggio della boxe si parla dell’angolo di un pugile per indicare, a partire dall’elemento fisico che chiude due lati del quadrato di combattimento, l’allenatore e il massaggiatore che assistono il pugile durante l’incontro.

I linguaggi tecnici
Smettiamo ora di occuparci di sport e leggiamo il testo che segue («l’Europeo», 19 ottobre1985), composto da brevi stralci di un identikit psicologico del tristemente noto mostro di Firenze.

È stato scritto da alcuni studiosi di criminologia per aiutare la magistratura nella caccia al pluriomicida. Il linguaggio impiegato è quello tecnico degli specialisti di medicina legale; tralasciamo lo stile scientifico e al contempo burocratico in cui è stato redatto il testo, per soffermarci invece su alcuni termini che caratterizzane questo tipo di scrittura. Innanzitutto è possibile rinvenirvi parole quali «indagine», «delitto premeditato», «complice», «omicida», «arma da fuoco» ecc., proprie del linguaggio giuridico, ma che oggigiorno usiamo comunemente anche nella lingua parlata o che leggiamo nelle pagine di cronaca dei giornali. Vi sono poi termini medici, psicologici e psicanalitici, molto più specifici e di difficile comprensione. Troviamo infatti: «piano somatico», «componenti feticistiche e sadiche», «pluridiscorsività incontrollata», «risposte estemporanee a situazioni stimolo». Il loro impiego è giustificato dalla necessità di un’esposizione precisa e scientificamente corretta delle caratteristiche psicologiche dell’individuo; e d’altronde il testo è destinato a persone competenti, in grado di decifrare parole come «stigmate disendocrine» non immediatamente comprensibili al grande pubblico. Ma non tutti i termini della psicologia e della psicoanalisi sono così astrusi: parole quali «sadico», «feticcio», «psicopatologico» sono ormai comuni, insieme a molte altre provenienti da un ambito ristretto. Ecco alcuni nomi e aggettivi che sicuramente tutti noi utilizziamo in prima persona e comprendiamo facilmente quando li troviamo scritti:

complessato, nevrastenico, depresso, frustrato, inibito, isteria, blocco mentale, istinto, complesso di inferiorità, complesso di superiorità

Il significato puntuale che essi possedevano nel settore di origine si è in parte perso nel passaggio alla lingua comune: oggi tendiamo troppo facilmente a definire un individuo magari solo un po’ eccentrico come introverso, nevrastenico o addirittura paranoico. Fioriscono i complessi di inferiorità e i comportamenti isterici anche in casi e in contesti in cui ci si potrebbe spiegare con parole più semplici. In tali situazioni, il dizionario è uno strumento utile per evitare definizioni psicanalitiche a sproposito, per non confondere, ad esempio, l’isteria con la paranoia. Questi termini devono essere impiegati senza dimenticare il loro reale settore di appartenenza, limitandoci ai casi in cui risultino effettivamente necessari.

Il linguaggio della pubblicità
Veniamo ora a uno dei linguaggi settoriali più diffusi e conosciuti: quello della pubblicità. Ogni giorno siamo bombardati da frasi e da immagini create per indurci all’acquisto, per convincerci che il prodotto reclamizzato è il migliore e il più economico. L’intensa propaganda dei mass media rinnova di continuo l’influenza del linguaggio pubblicitario sulla lingua comune, sia parlata che scritta: non di rado assorbiamo inconsciamente formule e modi di dire della pubblicità per poi riutilizzarli in ciò che diciamo quotidianamente. Pensa, ad esempio, allo slogan che definisce un’automobile «sciccosa, comodosa, scattosa»: sicuramente avrai ascoltato persone che sono ricorse a questo tipo di aggettivizzazione con il suffisso -osa per descrivere le cose più disparate.

I messaggi della pubblicità sono in genere composti da immagini corredate di parole. Gli aspetti comunicativi sono quindi molteplici: l’efficacia del messaggio dipende appunto dall’interazione dell’aspetto grafico-visivo e di quello linguistico strettamente connessi. Ci limiteremo qui solo ad alcune caratteristiche linguistiche, ma non bisogna dimenticare l’importante ruolo dell’immagine nel campo pubblicitario.

Caratteri specifici del linguaggio pubblicitario
Il linguaggio della pubblicità si distingue innanzitutto dalla maggioranza delle altre lingue settoriali perché ha uno scopo ben definito: convincere, persuadere il consumatore. Esso sfrutta le possibilità offerte dalla nostra lingua a fini esclusivamente economici: deve essere accattivante solo per colpire il pubblico. Non è casuale che gli slogan abbiano in genere vita breve; una volta raggiunto lo scopo, la loro ripetizione continua li svuota di ogni significato e li rende rapidamente obsoleti. Molti modi di dire settoriali entrano nella lingua comune diventando espressivi proprio perché favoriscono la comunicazione interpersonale nella parlata quotidiana (ad esempio, pensa all’espressione «essere su di giri»); il linguaggio della pubblicità, per il suo fine limitato, si logora invece rapidamente e deve essere sempre rinnovato. Ciò non implica che esso non stabilisca scambi reciproci con la lingua comune, proponendoci delle astuzie linguistiche di indubbio interesse, tutte tese alla persuasione del consumatore.

Un primo contributo alla lingua comune, come già osservato in generale per tutte le lingue settoriali, è la continua creazione di nuovi termini mediante l’uso dei suffissi. Osserviamo questi esempi:

Pomodorissimo. Dà fragranza e sapore ai tuoi piatti perché ha la fragranza e il sapore del pomodoro crudo

Regalissimi Kinder e Ferrero

Mediante il suffisso -issimo, usato impropriamente, sono stati coniati termini a effetto che colpiscono il pubblico. Il linguaggio della pubblicità sviluppa inoltre la tendenza alla formazione di parole giustapposte: ad esempio delle giacche a vento di piumino sono state reclamizzate con la dicitura «i Caldomorbidi» (con la giustapposizione dei due aggettivi), oppure si trova anche un ammorbidente detto «abbraccia morbido» (con la giustapposizione verbo/aggettivo).

Molto divertenti sono i termini che gli studiosi della lingua definiscono «parole valigia» (o «macedonia»), cioè vocaboli costruiti arbitrariamente con parti di parole diverse, usate per attirare l’attenzione anche dell’ascoltatore più distratto:

Rassicura (Ras + assicura)

Sanbitter (Sanpellegrino + bitter, il tutto reso ancor più accattivante dalla pronuncia francese suggerita dalla pubblicità stessa)

È dunque molto frequente la creazione di neologismi (cioè parole nuove):

Stira delicato. Con Stirella il «soffia vapore»

ieri si stirava, oggi si «stirella»

Qui il nome del ferro da stiro è usato, pur se tra virgolette, in funzione di verbo, e l’attrezzo domestico stesso è indicato con un neologismo ottenuto dalla giustapposizione di un verbo e un nome.

Il linguaggio della pubblicità contribuisce inoltre alla diffusione di molti dei cambiamenti morfo-sintattici già osservati, quali l’aggettivo usato in funzione avverbiale, la riduzione dell’uso delle preposizioni ecc. Queste variazioni non sono generalmente invenzioni dei linguaggi settoriali, ma sono fatti sporadici già insiti nella sintassi della lingua italiana che vengono amplificati dal continuo uso in un determinato ambito settoriale.

Uno dei metodi pubblicitari più efficaci per attirare l’attenzione del consumatore e la continua creazione di slogan, brevi formule accattivanti che rimangono ben impresse nella mente. Vediamone alcuni, cercando di penetrare il sofisticato sistema con cui sono strutturati

Coin e sei in

Il metano ti dà una mano

Upim cambia, cambia in Upim

L’efficacia delle prime due espressioni è basata sulla rima interna, mentre la terza presenta una struttura speculare ripetitiva che deve colpire ed essere facilmente memorizzatile. Le rime e la ripetizione di parole e suoni simili non sono quindi espedienti letterari propri solo degli scrittori e dei poeti: anche il linguaggio della pubblicità li sfrutta moltissimo.

Aperol, Allegro, Aperto, Aperitivo

Fiesta ti tenta tre volte tanto

Espedienti retorico-stilistici utilizzati dalla pubblicità

In questi esempi la ripetizione fonica all’inizio di ogni parola è fin troppo evidente: sono delle allitterazioni, che consistono nell’accostare più parole (in genere tre) inizianti con la stessa lettera o con il medesimo suono. Esse non sono certo invenzioni del linguaggio pubblicitario: l’allitterazione è un espediente retorico-stilistico rinvenibile fin dai primordi della letteratura italiana. Interessante è anche il gioco semantico su cui è strutturato il primo esempio: a partire dall’etimologia del verbo «aprire» da cui derivano «aperitivo» e la marca stessa, è rinvenibile un doppio percorso di lettura. Dapprima abbiamo l’idea Aperol-aperitivo-aprire (verbo in senso generico e più specificatamente nel senso di aprire un pasto iniziando con la bevanda per antonomasia), su cui si incastona il senso di «aperto» riferito al carattere di una persona cordiale, allegra appunto.

La pubblicità oltre ad influenzare la lingua quotidiana spesso attinge da essa, in particolare ricalcando modi di dire molto comuni e riformulandoli secondo le proprie esigenze specifiche:

Ferragosto cane mio non ti conosco

Casalinga il pericolo è il mio mestiere

Prosciutto al pepe, Sfilatino e Birra Chiara. L’unione fa la forza

Oppure ci si richiama a titoli di film o strofe di canzoni in voga

Onda su onda risvegliati su Ondaflex

Un piccolo grande televisore a prova di futuro. Finché esiste il futuro

Nota nella prima frase un bel caso di allitterazione atto a catturare l’interesse del pubblico con la sua ripetitività fonica. Il fatto che «Onda su onda» richiami il ritornello di una famosa canzone non implica che il consumatore debba cogliere obbligatoriamente questo accenno: la struttura dello slogan è già accattivante di per sé, tanto meglio se qualcuno nota il riferimento al motivo. Ciò crea in chi l’ha individuato quasi un senso di complicità con la pubblicità stessa, che si aggiunge alle altre attrattive già presenti nella formula studiata per ottenere assensi. Il secondo esempio gioca sul titolo del film Il piccolo grande uomo, riferimento che può anche passare inosservato; rimane tuttavia il gioco linguistico sulla coppia di aggettivi opposti piccolo/grande, un espediente di sicuro effetto.

Tutto quello che avreste sempre voluto da uno slip

e non avete mai osato chiedere

Anche qui il richiamo al titolo di un film comico molto conosciuto è esplicito (Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso e non avete mai osato chiedere). In questo caso la pubblicità stessa gioca in modo divertente ed esplicito su una sua caratteristica: i frequenti richiami sessuali sottintesi a molte merci reclamizzate.

Ciò fa sempre parte di un progetto persuasivo destinato al consumatore: i sottintesi sessuali sono naturalmente indirizzati a seconda del sesso del pubblico a cui ci si vuole rivolgere.

Leggiamo ora un altro inserto

Ritornano i dolcetti più innocenti

Per darti un po’ di festa tutti i giorni

Tanti anni fa erano i dolcetti delle feste

Ora sono le piccole feste di tutti i giorni

A livello morfo-sintattico puoi osservare il gioco basato sulla ripetizione dell’espressione «feste/a di tutti i giorni» e sull’inversione «dolcetti delle feste/piccole feste di tutti i giorni». Più interessante è l’associazione semantica delle idee che questa pubblicità esprime. I dolci sono legati all’innocenza, alla giovinezza e al tempo passato quale sinonimo di genuinità, semplicità, affidabilità. Come una volta i dolcetti donavano felicità nelle feste semplici e genuine, anche ora ridonano gli stessi sentimenti nella vita di ogni giorno.

Molte campagne pubblicitarie debbono il loro successo a strutture linguistiche che creano associazioni mentali di questo tipo: ritorno alla natura, tempo passato come simbolo di genuinità. Un’altra idea che spesso funziona è il richiamo a mondi esotici lontani, pieni di un sole splendente che illumina paesaggi da favola, i quali ovviamente si contrappongono al mondo caotico pieno di smog e cemento delle città in cui viviamo.