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I valdesi

Seguaci del movimento religioso il cui nome deriva dal ricco mercante lionese Pietro Valdo…

Seguaci del movimento religioso il cui nome deriva dal ricco mercante lionese Pietro Valdo, che, indotto da una crisi di spirito, nel 1776, si decise ad abbracciare la povertà, per amor di Dio.

Attratti dal suo esempio, molti vollero seguirlo e furono detti «i poveri di Lione»; anzi costoro si diedero alla predicazione, suscitando però le proteste dei «chierici», cui si riteneva riservato l’annuncio del Vangelo, tanto che Alessandro III, pur approvandone il tenore di vita, vietò loro di predicare. A tale formale divieto non vollero sottomettersi; al contrario si misero a polemizzare contro i catari; per cui vennero denunciati a Roma e papa Lucio III li condannò assieme al gruppo degli umiliati o «poveri lombardi».
Questi due gruppi allora si avvicinarono e, malgrado temporanee controversie interne, andarono sempre più staccandosi dall’obbedienza romana. Divennero quindi oggetto di violente persecuzioni nei paesi cattolici, tanto da avere confiscati i beni e meritare la condanna al rogo; però lungi dal ricredersi, si confermarono maggiormente nella resistenza a Roma, mentre altri si intrufolarono tra i cattolici per sfuggire alle repressioni.
Da questa posizione nei confronti di Roma passarono poi a una posizione del tutto autonoma, sia nel governo che nella fede; infatti sostenevano che l’efficacia dei sacramenti dipende dalla santità del ministro che li conferisce; anzi basta tale santità a dare la facoltà di conferirli e di esercitare persino tutti i poteri sacerdotali ed episcopali (la professione di fede imposta da Innocenzo III verso il 1210 ai valdesi convertiti imponeva di respingere queste tesi); facevano consistere la santità soprattutto nella pratica esteriore della povertà. Presso di loro andò formandosi anche una specie di codice morale: era vietato il giuramento; la bugia era ritenuta sempre colpa grave; era proibito il servizio militare; niente messe e suffragi per i defunti; il diritto di predicare era esteso ai laici, comprese le donne; il disobbedire ai superiori indegni era considerato un dovere; erano abolite le indulgenze; era escluso il culto della Vergine e dei Santi; un valore speciale era attribuito alla preghiera segreta e a quella domenicale, ma con esclusione delle altre forme di preghiera.

Storia. La storia dei valdesi presenta tre periodi distinti. Fino al protestantesimo. Dopo la menzionata repressione, i valdesi si rifugiarono nelle valli delle Alpi Cozie e anche in Puglia e in Calabria; in altre località si unirono a gruppi di dissidenti o di eretici, quali i catari, gli ussiti, ecc., mostrando quindi un tono protestatario verso Roma. Fino all’editto di tolleranza del 1848. I primi contatti con il protestantesimo si ebbero prima che Calvino riuscisse a impostare a Ginevra una riforma del tipo da lui caldeggiato: li iniziò un riformatore religioso del gruppo di Meaux, di nome Guglielmo Farel. Costui nel 1526 andò a Basilea, dove più volte e per vari anni di seguito fu visitato da alcuni valdesi.
Nel 1532 il Farel fu invitato a presiedere un convegno di valdesi (da tenersi nel più assoluto segreto, per timore della polizia, a Chanforans nella Val d’Angrogna); e vi andò con il cugino di Calvino, Pietro Robert detto l’Olivetano, cui fu dato l’incarico di tradurre la Bibbia per i valdesi. Il convegno soppresse alcune norme morali osservate in passato (divieto del giuramento, obbligatorietà della povertà, predicazione ambulante, ecc.). Ma fu allora che i valdesi fecero proprie le teorie protestanti della giustificazione mediante la sola fede, della elezione eterna, della predestinazione assoluta, ecc. E fu allora che si associarono al calvinismo, condividendo poi con questo gli orrori delle persecuzioni e i rigori delle leggi nelle guerre di religione di quel tempo. Le più famose spedizioni contro di loro furono quella del 1545, che nella valle francese della Durance vide una ventina di casolari distrutti e varie migliaia di vittime, e quella del 1655 che represse duramente un movimento insurrezionale. 
Dal 1848. La Rivoluzione francese estese anche ai valdesi il beneficio della tolleranza religiosa; ma fu l’atto di emancipazione del 17 febbraio 1848 (propugnato anche da Vincenzo Gioberti e Roberto d’Azeglio e sancito dal re Carlo Alberto) che li mise sul piede di parità con i cattolici in tutti gli effetti civili. Ebbero anche un grande protettore nel generale inglese John Charles Beckwith; costui, ritenendoli i provvidenziali rinnovatori del cristianesimo in Italia, fece enormi spese per loro, fondò chiese, scuole, seminari, pubblicò molti libri e traduzioni. Ma essi, pur entusiasti per l’ideale dell’evangelizzazione dell’Italia (che a tale scopo suddivisero in cinque distretti), non si lasciarono agganciare al suo proposito di attirarli dal calvinismo alla liturgia anglicana. In seguito si crearono anche una università (che era stata la scuola di teologia di Torre Pellice): da Firenze, dove si era stabilita nel 1860, si trasferì a Roma nel 1922. Il sorgere, anche presso i protestanti, del movimento ecumenico, ha attenuato la posizione anticattolica, tanto che nel congresso di Ciabas del 1943 il valdese Carlo Gav ammirò apertamente il valore sociale della Chiesa romana e attribuì a «meschina mentalità» il non volerne riconoscere l’opera.