Scopri, impara e cresci

Capitale, Il

Opera principale del filosofo, economista e rivoluzionario tedesco Karl Marx.

 

Opera principale del filosofo (v. filosofia), economista (v. economia) e rivoluzionario tedesco Karl Marx. Il primo volume (intitolato Il processo di produzione del capitale) fu pubblicato nel 1867; il secondo (Il processo di circolazione del capitale) e il terzo (Il complesso complessivo della produzione capitalistica) uscirono postumi, a cura di Friederich Engels, rispettivamente nel 1885 e nel 1894; l’ultimo volume, infine, fu pubblicato e rimaneggiato nel 1905-1910 dal politico e teorico marxista tedesco Karl Kautsky con il titolo Teorie del plusvalore.

Nell’opera, considerata un pilastro della teoria economica marxiana, il filosofo di Treviri muove da una teoria chiave elaborata dagli economisti classici inglesi (Smith e Ricardo): la cosiddetta «teoria del valore-lavoro», secondo la quale il valore di scambio delle merci è dato dal lavoro in esse incorporato (vale a dire, dal lavoro necessario a produrle).
In tal modo è possibile al produttore di merci (M) procurarsi il denaro (D) necessario per acquistare altri prodotti (M) necessari per la soddisfazione dei propri bisogni. In questo processo di scambio (M-D-M), il produttore produce un valore che gli permettere di acquistare una merce di valore corrispondente.

Marx, tuttavia, fa notare che nel capitalismo (caratterizzato dalla trasformazione della forza lavoro, cioè della capacità di fornire lavoro, in merce) la formula classica del processo di scambio cambia natura, trasformandosi da M-D-M in D-M-D: avviene cioè che il capitalista impiega il suo capitale (D) per acquistare mezzi di produzione e forza lavoro (M) necessari a produrre a loro volta capitale (D). A differenza, però, del normale processo di scambio (M-D-M) i valori dei due estremi non coincidono: non avrebbe senso, infatti, impiegare denaro per produrre una quantità equivalente di denaro. È necessario, perciò, che il denaro prodotto abbia un valore superiore al denaro investito per produrlo. Il modo esatto per formulare il processo di scambio capitalistico, quindi, è D-M-D’, dove D’ incorpora un plusvalore rispetto a D.

Ma da dove viene questo plusvalore? Non dal cosiddetto «lavoro morto», che è contenuto nei mezzi di produzione (vale a dire nelle macchine industriali, che cedono solo una parte del loro valore, e nelle materie prime, che devono essere trasformate per produrre valore). Ne deriva, perciò, che il plusvalore deve provenire dal «lavoro vivo», vale a dire dal lavoro (attività umana creatrice di valore) trasformata in merce (forza lavoro, vale a dire mera capacità di fornire lavoro). La trasformazione del lavoro in merce, infatti, fa sì che il lavoratore svolga nello scambio capitalistico una duplice funzione: da un lato produce una merce (il cui valore è dato dal lavoro necessario per produrla); dall’altro è pagato come merce (il suo valore, cioè, corrisponde al valore necessario per l’acquisto dei mezzi di sussistenza necessari alla sua «riproduzione»). Ciò significa che il capitalista compra una giornata di lavoro (pari, poniamo a dieci ore) pagandola solo il valore equivalente all’acquisto dei mezzi di sussistenza necessari al lavoratore (pari, poniamo a cinque ore). La differenza (il valore prodotto nelle cinque ore lavorate in più rispetto allo stretto necessario per ripagarsi i mezzi di sussistenza) è appunto il plusvalore.

Alla fine di questo ragionamento, il valore di ogni merce si divide in tre componenti: il valore dei mezzi di produzione utilizzati (capitale costante o c), il valore prodotto dal lavoro necessario (capitale variabile o v) e il valore prodotto dal pluslavoro (plusvalore o s). Il saggio di profitto (rapporto tra il plusvalore e la somma di capitale costante e variabile) aumenta al crescere del saggio di plusvalore (rapporto tra plusvalore e capitale variabile) e diminuisce al crescere del capitale accumulato (rapporto tra capitale costante e capitale variabile). La cosiddetta «legge della caduta tendenziale del saggio di profitto» esprime appunto il fatto che se il capitale viene accumulato in maniera più veloce di quanto aumenti il saggio di plusvalore, il saggio di profitto tende a scendere. L’unica maniera per frenare la caduta tendenziale del saggio di profitto è tentare di far crescere il saggio di plusvalore: ciò avviene o prolungando la giornata lavorativa o aumentando la produttività del lavoro (mediante l’introduzione di una sempre più minuziosa divisione tecnica del lavoro, permettendo così al lavoratore di ripagarsi più in fretta i propri mezzi di sussistenza e dedicare, di conseguenza, più tempo al pluslavoro.

Ma tutto ciò genera un grave problema: la produzione capitalistica, infatti, non è finalizzata al soddisfacimento di una domanda ma al semplice obiettivo di accumulare quanto più capitale possibile. Sotto la spinta dell’accumulazione capitalistica, perciò, la capacità produttiva cresce molto più velocemente della domanda (cioè della capacità di consumare le merci prodotte). Ne deriva che, a differenza di una normale società di mercato (in cui la produzione segue la legge della domanda e dell’offerta), la società capitalistica ha la continua esigenza di espandere il proprio mercato, creando domanda artificiale mediante l’indebitamento (v. debito) al consumo, il colonialismo, il neocolonialismo, la centralizzazione delle decisioni, le guerre commerciali e le guerre vere e proprie. Tali contraddizioni, insite nel sistema capitalistico, provocano un’inasprirsi della lotta di classe (v. classe sociale) che, nella visione marxiana, deve inserirsi all’interno di un processo storico che, conformemente alla concezione dialettica fatta propria dal materialismo storico, porta alla risoluzione della tesi (capitale) e antitesi (proletariato) nella sintesi rivoluzionaria (abolizione della proprietà come possesso dei mezzi di produzione e fine della divisione della società in classi).