Il primo preparato biologico osservato per mezzo di un microscopio elettronico è stato un virus…
Il primo preparato biologico osservato per mezzo di un microscopio elettronico è stato un virus, e più precisamente un batteriofago (cioè «che distrugge i batteri»). Oggi non c’è struttura o tessuto degli organismi animali e vegetali che non sia stato osservato e studiato a fondo per mezzo della microscopia elettronica.
Oltre alla complessa struttura del virus, la microscopia elettronica ha permesso di scoprire gli organelli cellulari, che hanno dimensioni inferiori al potere risolutivo di un microscopio ottico. Il citoplasma della cellula eucariote si è così rivelato un universo estremamente complesso, formato da una complicata architettura di membrane e da svariati organelli cellulari: mitocondri, ribosomi, lisosomi, apparato di Golgi, centrioli, solo per elencarne alcuni.
Anche il dna, se opportunamente trattato, è osservabile al microscopio elettronico; con questo tipo di indagine si è ad esempio scoperto che il dna dei batteri è formato da un unico filamento circolare.
Nel campo della virologia, la microscopia elettronica ha fornito un contributo determinante permettendo spesso la scoperta dell’agente virale responsabile di una certa malattia. La metodologia consiste nel prelevare dall’individuo ammalato dei campioni di tessuto (sangue o fegato o cervello a seconda della sintomatologia della malattia) e di indagarli per mezzo della microscopia elettronica nel tentativo di scoprire l’eventuale presenza di particelle virali, che in alcune fasi del loro ciclo replicativo sono molto numerose e quindi facili da osservare. Così è stato individuato anche il virus Hiv, responsabile dell’aids.
La preparazione dei materiali biologici per l’osservazione al microscopio elettronico per trasmissione è un’operazione lunga e laboriosa.
Uno dei primi problemi da risolvere è stato come ottenere sezioni abbastanza sottili da poter essere attraversate dagli elettroni.
Un altro problema è stato quello di aumentare il contrasto, cioè di colorare il preparato. Infatti, nell’attraversare la materia, gli elettroni vengono assorbiti o deviati dagli atomi più grossi, e ciò crea un contrasto tra regioni chiare, con un certo tipo di struttura, e regioni scure. Nelle cellule, gli atomi di carbonio, ossigeno, azoto, fosforo, per non parlare dell’idrogeno, sono tutti di piccole dimensioni, incapaci di assorbire gli elettroni. La tecnica che è stata messa a punto per l’osservazione di sezioni sottili si basa sulle seguenti fasi:
- a) Fissazione, colorazione e inclusione: il campione da esaminare viene immerso in sostanze che fissano (e quindi uccidono) le cellule, bloccandone ogni attività e impedendo anche l’inizio dei processi putrefattivi; viene poi trattato con speciali coloranti, composti di metalli pesanti i cui grossi atomi sono in grado di assorbire o deviare gli elettroni; successivamente il campione fissato viene incluso in una resina termoindurente, cioè in una sostanza che è fluida a temperatura ambiente e indurisce al calore. Una volta che la resina si è indurita, il campione si trova inserito in un blocchetto duro e rigido che può essere tagliato in sezioni molto sottili.
- b) Preparazione delle sezioni: il blocchetto viene tagliato in minuscole e sottilissime fettine tramite apparecchi detti ultramicrotomi; tutta l’operazione viene svolta osservando attraverso un microscopio ottico binoculare. L’ultramicrotomo è uno strumento per ottenere sezioni sottili adatte per la microscopia elettronica. Mentre nei microtomi per la microscopia ottica l’avanzamento è meccanico, negli ultramicrotomi l’avanzamento si ottiene per dilatazione termica di una sbarra metallica.
Sono state messe a punto inoltre moltissime altre tecniche, che vengono usate per l’osservazione con microscopi a scansione. Una delle più interessanti è la tecnica detta freeze fracturing, o frattura tramite il freddo. Con questa tecnica il materiale viene indurito attraverso un rapidissimo congelamento; poi se ne provoca la rottura, che avverrà nelle zone di minor resistenza, quindi alla superficie delle cellule o dei singoli organelli. In questo modo è possibile osservare cellule viventi, senza alterarle in alcun modo. Nel 1963 si è applicata per la prima volta questa tecnica allo studio di cellule di lievito, e si è provato che, dopo l’osservazione, queste cellule avevano conservato la capacità di riprodursi.