L’intera storia del Messico, dai costumi e credenze alle guerre fratricide, «raccontata» sui muri del Palazzo dal pennello del Rivera
L’intera storia del Messico, dai costumi e credenze alle guerre fratricide, «raccontata» sui muri del Palazzo dal pennello del Rivera.
Nel 1929 Rivera inizia la realizzazione dell’opera più impegnativa, il ciclo pittorico del Palazzo Nazionale a Città del Messico raffigurante la «Storia del Messico» a partire dall’arrivo dei conquistadores.
Nelle pitture raffiguranti La lotta delle classi, la Fucilazione di Massimiliano (1934) e La rivoluzione di Madero l’artista si rifà allo stile dei murali precedenti, pur essendo maggiori la carica espressiva e il dinamismo.
Nella parte bassa delle pareti del Palazzo si trova la rievocazione delle lotte tra conquistadores e aztechi, cui segue la Leggenda di Quetzalcoatl e l’ultimo ciclo di affreschi, dedicato alle antiche civiltà: la tarasca, la zapoteca, la totonaca e la monumentale visione della Grande Tenochtitlán, capitale azteca.
Al secondo piano dell’edificio, sopra lo scalone, l’artista realizza dunque le grandi città precolombiane, intorno alle quali celebra le diverse civiltà autoctone, caratterizzate ciascuna con un’attività. In questo ciclo pittorico, Rivera riesce a fondere perfettamente modi di timbro popolaresco e un linguaggio volutamente arcaico, proveniente dalla pittura maya e azteca, da cui riprende la mancanza della prospettiva e lo spirito di coralità. Non mancano nella sua pittura riferimenti al primitivismo e all’esotismo di Gauguin e Rousseau.
Dopo la rappresentazione di Michoacàn, dove la civiltà tarasca era caratterizzata dall’industria tintoria, Rivera realizza, nel 1934, la Civiltà zapoteca, affresco alla cui base colloca figure di indigeni intenti alle diverse attività. Nella composizione il popolo funge da protagonista e la base del murale coincide con la concezione marxista o «della base come forza propulsiva dell’intera società». Sempre nello stesso anno, Diego Rivera realizza La grande Tenochtitlán. Qui l’artista, essendo nato in una piccola località situata nel cuore della regione che costituì il centro della civiltà azteca, sembra identificarsi totalmente col popolo antico, del quale fa rivivere i monumenti, le credenze, gli usi. In essa è anche visibile la città azteca, con le sue isole e lagune, i vulcani, i templi e i palazzi; in primo piano è invece raffigurato il mercato. Nella pittura murale del 1950, che mostra La civiltà totonaca, a sinistra si scorge il gioco della pelota (in questo caso il gioco si svolge davanti all’imperatore), a destra si nota il Volador, un palo intorno al quale gli indigeni compiono 13 giri ciascuno, fino a raggiungere il numero di 52, che corrisponde a quello degli anni necessari a formare un secolo per i totonachi.
L’intero murale è dominato dalla grande piramide El Tajin, fedelmente riprodotta dall’artista. Al 1951 risale l’Industria dell’agave e della carta. Qui l’artista unisce le diverse scene: alcuni indios costruiscono una capanna con le foglie di agave, altri estraggono e distillano il succo della pianta; una scena mostra la filatura e la tessitura della fibra, in un’altra, invece, si lasciano macerare le foglie. Ancora del 1951 è, infine, il murale raffigurante lo Sbarco di Cortés a Veracruz, dove gli invasori vengono raffigurati senza calore ma secondo rigidi schemi classici che richiamano gli affreschi quattrocenteschi del Palazzo di Cuernavaca; in secondo piano, la natura distrutta, le teste degli animali e i prigionieri riportano alla vena primitiva dell’artista. Cortés è raffigurato con evidenti difetti fisici, in base agli studi risalenti al 1941. Tra i conquistadores si riconoscono Pedro de Alvarado, con la barba rossa, e, al suo fianco, Sandeval e Diego de Ordaz.