L’uomo da secoli si crede il padrone incontrastato della Terra, e quindi si è abituato a considerare…
L’uomo da secoli si crede il padrone incontrastato della Terra, e quindi si è abituato a considerare tutto ciò che esiste sul pianeta come una risorsa da sfruttare a proprio piacimento.
Ma i fatti stanno dimostrando che l’impatto negativo dell’uomo sugli equilibri biologici e quindi sull’ambiente sta degenerando in maniera drammaticamente accelerata, portando all’esaurimento delle risorse naturali: la distruzione di una risorsa è senz’altro il peggior modo di sfruttarla. Per contrastare questo tipo d’atteggiamento stanno prendendo piede modi di pensare diversi, atteggiamenti nuovi finalizzati alla realizzazione di dimensioni etiche alternative nel rapporto uomo-natura. In altre parole la pianificazione e gestione oculata delle risorse naturali deve diventare uno dei cardini di quel grande e ambizioso progetto che si chiama “gestione dell’ambiente”, una sfida globale la cui posta finale è la salvezza dell’uomo e del pianeta.
E non si dimentichi che la Terra ha dimensioni limitate e finite, quindi limitate e finite sono le sue risorse naturali. Sono particolarmente minacciate dallo sfruttamento umano quelle risorse definite “non riproducibili”, che esistono solo in una determinata quantità, seppure molto grande, ma che la natura o l’uomo non sono in grado di riprodurre: si pensi al petrolio, agli elementi minerali, ai gas naturali, all’uranio, tutti beni limitati per il consumo per i quali sarebbe saggio adottare urgentemente politiche internazionali di consumo programmato e moderato, prevedendone anche il riutilizzo e il riciclaggio.
Ma lo spreco e l’uso distruttivo delle risorse è avvenuto anche nei confronti delle risorse rinnovabili: quelle per le quali, come l’acqua, i sistemi naturali garantirebbero indefinitamente l’inesauribile riproducibilità, se l’uomo però fosse capace di servirsene entro i limiti di detta riproducibilità.
La storia ci insegna che sino ad oggi è avvenuto l’esatto contrario: scoperta una risorsa, la si è sfruttata, soprattutto per ragioni economiche, ma anche per motivi socio-culturali (atteggiamento di dominio nei confronti di altri e mancanza di senso del limite), in forme e modi talmente estremi, distruttivi e autolesionisti che alla fine quella risorsa è talmente esaurita da non poter essere più disponibile, se non addirittura totalmente distrutta.
Per fare un esempio, pensiamo alle risorse del mare, ricchezza apparentemente inesauribile: fino a che la pesca avveniva con mezzi tradizionali e la mancanza di tecniche di conservazione del pescato costringeva i pescherecci a quotidiani ritorni alla base, lo sfruttamento dei mari non aveva creato grandi problemi.
Oggi invece si pesca ben al di sopra della riproducibilità delle popolazioni ittiche: le moderne tecnologie di pesca, associate alle illimitate capacità di navigazione e di lavorazione a bordo del pescato tipiche delle moderne flotte pescherecce, hanno consentito uno sfruttamento intensivo anche dei mari più aperti e delle zone di pesca vergini. Per raggiungere lo stesso tonnellaggio si catturano spesso pesci di piccola taglia, che non hanno ancora compiuto l’intero ciclo vitale, e si compromette così seriamente la riproduzione delle specie ittiche, e quindi la pescosità dei mari.
Quel che occorre fare è assicurare che l’utilizzazione di una specie, di un ecosistema, o di qualsiasi altra risorsa, possa avvenire su base “sostenibile”. Utilizzazione sostenibile significa spendere gli interessi lasciando intatto il capitale; solo così diventa indefinitamente possibile assicurarsi la continua riproducibilità della risorsa e la sua inesauribile disponibilità. Si tratta di un concetto di base da anni ormai dimenticato dalle moderne società avanzate, abituate a sfruttare non più una sola risorsa, ma tutte le risorse, un concetto che tuttavia deve essere assolutamente riscoperto, a un livello più alto e maturo di riflessione e consapevolezza.