Grande eresia del IV secolo, denominata dal fondatore, Ario…
Grande eresia del IV secolo, denominata dal fondatore, Ario, un prete di Alessandria d’Egitto, e iniziata verso il 317-320.
L’essenza dell’arianesimo sta nel negare la vera divinità del Verbo, e quindi la sua consustanzialità con il Padre e la sua eternità. La gravità dell’arianesimo è nel fatto di colpire il cristianesimo nei suoi misteri di fede principali: Trinità di Dio, Incarnazione e Redenzione.
L’origine, la facile diffusione, anche tra esponenti dell’episcopato, e la resistenza vitale dell’arianesimo, nonostante le condanne dei concili, hanno la loro spiegazione in circostanze dottrinarie e storiche del tempo. La scuola catechetica di Alessandria, il Didaskaleion, nel trattare la dottrina della SS. Trinità, non era riuscita né a formulare una terminologia tanto esatta da evitare equivoci, né a presentare un atteggiamento di pensiero tanto chiaro da essere superiore a ogni sospetto di subordinazionismo; quella di Antiochia, fondata da Luciano di Samosata, risentiva delle idee di Paolo di Samosata e tendeva apertamente al subordinazionismo.
Era facile spingere agli estremi tale situazione, specialmente da parte di chi mancasse di una formazione dottrinale perfettamente ortodossa e di rispetto per il magistero ecclesiastico ufficiale e per l’autentica tradizione cristiana. La dottrina ariana ha le sue radici in alcune preoccupazioni dogmatiche del prete alessandrino: salvare il monoteismo, la trascendenza di Dio, la sua semplicità assoluta e la sua immutabilità, senza venir meno al principio della distinzione fra le Persone divine; e rivela influssi dello gnosticismo del secolo II e del neoplatonismo, soprattutto filoniano.
La dottrina di Ario, quale noi la conosciamo attraverso i pochi scritti del fondatore pervenuti fino a noi, la professione di fede del concilio di Nicea e soprattutto attraverso le opere di scrittori ariani e antiariani, si può ridurre a quattro punti fondamentali:
1) il vero, unico Dio è ingenerato, assolutamente trascendente, irraggiungibile, incomunicabile sotto qualsiasi aspetto; la sua sostanza, quindi, non può essere partecipata a più persone; e tutto quanto esiste, all’infuori di Dio, è creato ex nihilo dalla volontà di Dio. È negato, perciò, il dogma trinitario di una sola essenza divina sussistente in tre persone realmente distinte tra loro, ma coeterne, eguali in tutto, intimamente unite nelle reciproche relazioni. Per l’arianesimo solo il Padre è vero Dio.
2) Per creare, in seguito, il mondo, Dio generò (produsse, creò) prima del tempo, ma non ab aeterno, il suo Verbo. Questo non è vero Dio: fu tratto dal nulla, e non fu sempre esistente, ma incominciò ad esistere. Se in Dio ci fosse stata vera generazione, ci sarebbero state in lui successione, mutazione, moltiplicazione o divisione, tutte cose assurde per la essenza divina.
3) Perciò il Verbo, sostanza diversa da quella del Padre, è detto figlio suo, ma non in senso proprio, bensì in senso analogico: è figlio adottivo, non figlio naturale.
4) Le conseguenze di tale concezione sono tre: a) il Verbo non è infallibile di natura sua; solo la sua grande: rettitudine morale lo salvò da ogni caduta; b) il Verbo è inferiore al Padre, ma è così perfetto che nessun’altra creatura lo può eguagliare; c) Gesù Cristo non è Dio, ma solo il Verbo incarnato.
L’arianesimo fu condannato nel 325 dal concilio di Nicea, che per riaffermare e definire la verità, canonizzò il termine consustanziale da riferire al Verbo in relazione al Padre. Il moto ereticale ariano sarebbe ben presto finito, se, in quei tempi, i mutati rapporti tra cristianesimo e Impero romano non avessero visto le persecuzioni mutarsi nella pesante protezione degli imperatori costantiniani e nel loro aperto cesaropapismo.
Essi, preoccupati di conservare la pace religiosa a tutti i costi, ma senza eccessive rinunce da parte di alcuno, consigliati da vescovi cortigiani, inficiati di arianesimo, come Eusebio di Cesarea ed Eusebio di Nicomedia, e senza capire né dove stesse realmente il nocciolo ella controversia, né perché gli antiariani fossero tanto intransigenti, complicarono la situazione, accettando formule di compromesso e imponendole, a volte con la forza, a volte con raggiri, come al concilio di Rimini del 359 e a quello di Costantinopoli del 360.
Intanto, dopo il concilio di Nicea, i teorici dell’arianesimo tentarono una formulazione della dottrina, che non urtasse eccessivamente i cattolici e mitigasse, nei termini o nei concetti, le posizioni troppo rigide di prima. Così l’eresia si divise in tre formulazioni principali e in numerose sfumature secondarie e talora personali, di più scarso rilievo e di minor fortuna. Le correnti più importanti furono:
a) l’arianesimo puro, che si precisò nella dottrina degli anomei, secondo i quali il Verbo non è per nulla uguale o simile al Padre ;
b) una mitigazione della dottrina ariana, la quale si fissò nella formula che negava la identità, ma asseriva la somiglianza di natura tra il Padre ed il Verbo ; e questa fu la corrente più numerosa, quella veramente sostenuta dalla corte imperiale, quella dei semiariani;
c) una corrente di compromesso tra le prime due, la cui formula asseriva semplicemente la somiglianza tra il Padre ed il Verbo, ma di proposito evitava ogni precisazione sul significato e sulla portata del termine «somiglianza», così da poter essere usata ambiguamente tanto in senso ortodosso che in senso ariano, anomeo o semiariano. L’originario, stroncato praticamente dalla persecuzione di Giuliano l’Apostata (361-363), finì di prosperare nell’Impero sotto Teodosio (379-395).
Ma pullularono, allora e in seguito, nell’impero e fuori, altri germogli. Macedonio, vescovo di Costantinopoli, iniziò l’eresia che negava la divinità dello Spirito Santo. Ulfila, vescovo dei Goti, presente al concilio di Costantinopoli del gennaio 360 e firmatario della formula di compromesso, imposta già a Rimini nell’ottobre precedente, diffuse l’arianesimo tra i popoli barbari che vivevano ai confini e ai margini dell’impero: Visigoti, Ostrogoti, Vandali, Burgundi, Svevi, Longobardi. Gli ultimi ad abbandonare l’arianesimo furono i Longobardi, la cui conversione iniziò tra la fine del VI secolo e l’inizio del VII, per opera concorde di S. Gregorio Magno e della regina Teodolinda. Una corrente ariana relativamente recente si formò nei secoli XVI-XVII. Alcune sette protestanti (sociniani, servetisti, protestanti liberali in seguito) e alcuni eretici isolati negarono la divinità di Gesù Cristo, vedendo in lui un uomo superiore. Altri, interessatisi del dogma trinitario (W. Whinston e S. Clarke) ripresero a sostenere un subordinazionismo più o meno mitigato.