Scopri, impara e cresci

L’economia della decrescita

Il brano che ti proponiamo, nella traduzione di Manuel Antonini, è tratto da un’intervista rilasciata

Il brano che ti proponiamo, nella traduzione di Manuel Antonini, è tratto da un’intervista rilasciata nel 2008 alla rivista «Ecorev» dal filosofo ed economista francese Serge Latouche.

«Il declino si è avuto nel 1996-67 quando sono andato in Laos. Ho scoperto una società che non era né sottosviluppata ne sviluppata, essa era al di fuori dello sviluppo: le comunità di villaggio, che coltivavano un riso appiccicoso e lo ascoltavano crescere, una volta che il riso era seminato non avevano più nulla da fare e approfittavano così del resto del tempo per dedicarsi alle feste, alla caccia ecc. La realtà della gente era di vivere così, nei loro villaggi fuori dal tempo.
Vidi chiaramente ciò che stava per succedere e sta succedendo oggi stesso: ossia lo sviluppo stava per distruggere questa società, di certo non idilliaca (non esistono infatti società idilliache), questa sua specie di benessere collettivo, di arte di vivere, a volte raffinata, relativamente sobria, ma comunque in equilibrio con l’ambiente naturale.
È là che ho avuto una crisi: per cominciare, come economista, ho perso la fede nell’economia, nell’idea di crescita, di sviluppo e ho cominciato il mio cammino di Damasco.

[…]

A quell’epoca, quando si discuteva di sviluppo era sempre in rapporto al sud del mondo, perché era il nord che sviluppava il sud.
Di conseguenza, dopo la denuncia dello sviluppo, nel ricercare un’alternativa ci si domandava: come possono le società del sud sopravvivere al maremoto dello sviluppo che esse hanno subito?
Per questo ho descritto come gli esclusi si auto-organizzano e sopravvivono in L’altra Africa, tra dono e mercato, questione già toccata in Il pianeta dei naufraghi. L’interesse dell’esperienza africana sta nel vedere come queste persone sopravvivono al di fuori dell’economia, proprio come avevo riscontrato nel villaggio in Laos. Ho osservato nelle periferie africane una ricchezza di creatività e di auto-organizzazione a tutti i livelli: societario, d’immaginario, tecnico e produttivo che corrisponde più o meno alla nebulosa dell’economia informale».