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L’uccisione di Bin Laden tra luci e ombre

Alle prime ore del 2 maggio 2011, il presidente americano Barack Obama, in un discorso in diretta nazionale

Alle prime ore del 2 maggio 2011, il presidente americano Barack Obama, in un discorso in diretta nazionale, annuncia la morte del capo delle forze di al-Qaeda Osama bin Laden, ad opera di un team di 14 Navy Seals, militari appartenenti alle forze speciali di élite americane.

Il capo di al-Qaeda  risiedeva già da cinque anni in Pakistan, in una località turistica montana, alla periferia di Abbottabad, a 50 km a nord della capitale Islamabad, famosa per un’accademia militare e per le sue numerose caserme. L’abitazione, costruita intorno al 2004 e nella quale bin Laden viveva con le mogli, i figli e una schiera di fedelissimi, era una vera e propria villa-fortezza: una palazzina di tre piani circondata da alte mura e filo spinato.

Vittime del blitz, oltre bin Laden, altre quattro persone, tra le quali uno dei figli e una delle mogli. Il corpo di quest’ultima, secondo quanto dichiarato dal consigliere antiterrorismo della Casa Bianca, John Brennan, fu ritrovato in posizione tale “da servire da scudo umano”, sebbene non sia possibile chiarire se il sacrificio si astato spontaneo o imposto.

Il governo statunitense, dopo l’annuncio di aver recuperato il corpo di bin Laden e di averlo in custodia, diffonderà la notizia di aver predisposto la sepoltura in mare, nelle acque settentrionali del Golfo Persico, “secondo i criteri previsti dalla tradizione islamica”.

Numerosi comunicati ufficiali seguono gli eventi del 2 maggio, attraverso i quali il governo americano sembra voler sottolineare come quella di catturare e uccidere il leader di al-Qaeda sia stata una decisione intensamente e strategicamente organizzata. L’operazione avrebbe avuto inizio nell’agosto dell’anno prima, quando una segnalazione sulla residenza del terrorista, aveva dato il via ad appostamenti e continue verifiche, effettuati e coordinati direttamente da un appartamento, utilizzato come base operativa americana, nella zona di Abbottabad in Pakistan (l’abitazione è stata subito smantellata dopo l’attacco, per dichiarate ragioni di sicurezza).

Una rete di informatori pakistani, unita alle immagini raccolte via satellite, aveva permesso di studiare il nascondiglio e ricostruire le giornate e le abitudini del capo di al-Qaeda, e tuttavia solo nella settimana precedente l’attacco americano, si era giunti alla sicura identificazione del rifugio.

Presente ad Abbottabad nelle ore in cui è stato condotto il bliz, anche un gruppo di agenti della Cia il quale però sembra non abbia preso parte all’operazione, condotta esclusivamente dal commando arrivato in Pakistan per il blitz, attraverso un elicottero proveniente dall’Afganistan.

La scelta di prediligere un’azione mirata, piuttosto che il lancio di una bomba convenzionale aviolanciata e guidata, ad altissimo potenziale distruttivo, è stata giustificata con la volontà di limitare i danni.

Nonostante le entusiasmanti dichiarazioni americane sul colpo inferto al proprio nemico, nella decennale lotta al terrorismo, numerosi rimangono i dubbi e le perplessità su quanto sia avvenuto.

La prima nota di scetticismo è stata generata dalla falsa foto che mostrava il volto di bin Laden morto, diffusa da agenzie e tv, ma subito riconosciuta come un fotomontaggio. Nonostante le polemiche sull’assenza di immagini relative alla cattura e all’uccisione di bin Laden, il presidente americano ha ribadito la sua decisione di non pubblicare nessuna foto per tutelare la sensibilità comune.

Confuse e discordanti rimangono le affermazioni di prima ora che sottolineano l’insolita mancanza di collegamenti internet o telefonici nel rifugio; affermazioni che contrastano con le dichiarazioni, rilasciate solo 24 ore dopo, relative al recupero durante il blitz di una “miniera d’oro”, in pc, dischi, memorie e materiale elettronico, appartenuti al leader di al-Qaeda.

Le dichiarazioni ufficiali americane non aiutano a dissolvere neanche la nebbia che avvolge la questione del coinvolgimento del Pakistan nelle operazioni. Incongruenti sembrano le dichiarazioni del segretario di Stato Hilary Clinton circa il “prezioso sostegno delle forze pakistane al successo della missione”, soprattutto se si tiene conto della quasi totale libertà con cui il capo di al-Qaeda viveva con i suoi familiari in una villa a pochi chilometri dalla città di Abbottabad, e non nascosto in una grotta nelle montagne fra Pakistan e Afghanistan. Che i rapporti tra Pakistan e America siano piuttosto tesi è comprovato da quanto dichiarato dal capo della Cia, Leon Panetta, che giustifica la mancata informazione del governo pakistano al raid, con il timore di una compromissione nell’esecuzione del piano.

Altro punto oscuro nella vicenda che ha alimentato molte polemiche è anche la rapida “sepoltura in mare nel rispetto della tradizione islamica”, pratica questa che risulta invece essere una violazione sacrilega per la religione musulmana. Nel giro di poche ore il governo americano, abbandonando la motivazione religiosa, ha giustificato l’operato dichiarando il rifiuto di paesi islamici quali Pakistan e Arabia Saudita ad accettare la salma, per poi correggere ulteriormente il tiro e sostenere la viva intenzione di non costituire un luogo meta di pellegrinaggio e fanatismo religioso.