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La chiesa protestante

Complesso di chiese e movimenti che, pur nella varietà dei loto caratteri peculiari, traggono origine storica dalla Riforma del XVI secolo.

Complesso di chiese e movimenti che, pur nella varietà dei loto caratteri peculiari, traggono origine storica dalla Riforma del XVI secolo.

La Riforma protestante non fu solo un evento trascorso, ma un processo storico le cui conseguenze incidono tuttora sulla vita di intere nazioni, e fu il risultato di molteplici fattori di natura varia e complessa: religiosa, culturale, sociale e politica che si assommano e si condizionano reciprocamente.

Situazione precedente. Causa remota ma potentissima fu lo spirito di rivolta all’autorità costituita, sempre vivo nell’uomo e manifestatosi in modo preoccupante nei moti ereticali. A rinfocolare questo spirito sopravvenne, alla fine del Medioevo, un altro gruppo di cause: il Rinascimento con il suo umanesimo paganeggiante, la reazione alla filosofia scolastica, le nuove scoperte scientifiche e geografiche che mettevano in questione tutti i sistemi tradizionali e abituavano gli spiriti a indagare, a risalire alle fonti, anziché fidarsi dei soliti argomenti di autorità. La stessa invenzione e diffusione della stampa, mentre favoriva una rapida diffusione delle idee, condannava all’ozio molti religiosi, prima occupati nella copiatura dei manoscritti. Non meno gravi le ragioni interne alla vita stessa della Chiesa e che sono una conseguenza delle precedenti: difatti il paganesimo rinascente aveva finito per influire anche sulla disciplina dei fedeli e del clero, introducendo gravissimi abusi nella stessa vita dei chierici, preoccupati spesso più della cultura, del prestigio, del denaro, del potere politico, che non della vita religiosa del popolo di Dio.
Non mancarono, anche da parte di vescovi e papi, gli appelli a una radicale riforma, in capite et in membris. Ne parlavano già Dante e Petrarca, intendendo naturalmente riforma disciplinare e nei costumi, e non già dottrinale; riforma promossa dall’autorità responsabile e non in modo anarchico e sovvertitore. Ma la gerarchia era disorganizzata; profonde rivalità fra papi e antipapi, o dei vescovi-principi fra loro; e poi i numerosi tentativi di autonomia delle Chiese nazionali, astutamente coltivati e sfruttati dai sovrani, avevano finito per disorientare i fedeli. Altre gravi piaghe nel corpo della Chiesa erano l’accumulo dei benefizi, la non-residenza dei vescovi nelle rispettive diocesi, la simonia e la venalità nelle cariche e nelle indulgenze. Vescovadi, abbazie e commende erano diventati straordinariamente ricchi, specialmente in Germania, mentre il basso popolo era miserabile e ignorante, e per di più vessato dalle decime ecclesiastiche.
Da tutti si reclamava la sospirata riforma; ma appena se ne vedeva un qualche inizio, tutti si trovavano d’accordo nel soffocarla, giacché prima di tutto sarebbe stato necessario falciare gli abusi infiltratisi nell’organizzazione ecclesiastica; senza dire che spesso gli stessi promotori della riforma erano animati a volte da secondi fini, per cui la aanta sede, intuito il pericolo, si vedeva costretta a osteggiarla. Quando poi, dopo le profetiche invettive del Savonarola, il Concilio lateranense V (1512) tenterà di fare sul serio, sarà troppo tardi. In Germania era già scoccata la scintilla che doveva provocare l’incendio.

Protagonisti della riforma e il suo sviluppo in tutta Europa. L’apparizione e la rapida diffusione della riforma nei paesi dell’Europa centrale e settentrionale. sono legate all’opera di eminenti personalità, tra cui: in Germania, Martin Lutero; nella Svizzera tedesca, Ulrich Zwingli; in quella francese, Giovanni Calvino; in Inghilterra, Enrico VIII. Fra costoro e le eresie medievali preluterane esiste una certa continuità di ispirazione e di influsso. Ma furono soprattutto le circostanze storiche sopra ricordate, assieme agli appoggi politici dei principi del tempo, che assommandosi permisero alla riforma di affermarsi in modo così clamoroso.
Causa prossima, quasi solo occasionale, furono gli abusi insorti nel bandire le indulgenze concesse da Leone X nel 1517, in favore di coloro che avessero contribuito con elemosine alla costruzione della basilica di San Pietro in Roma e alla crociata contro i Turchi. Perché si potesse lucrare l’indulgenza, la bolla papale richiedeva bensì, prima dell’elemosina, anche la confessione, la comunione e il pentimento; ma taluni predicatori davano l’impressione che si trattasse di un vero e proprio «mercato», e si vendesse il paradiso a prezzo convenuto, «come si vendono i porci e i cavalli sul mercato». Inoltre, la rivalità tra domenicani, incaricati di predicare le indulgenze, e agostiniani, tra cui era il giovane Lutero, fecero sì che si cominciasse a mettere in discussione anche il principio stesso delle indulgenze. La polemica ebbe il suo punto culminante il 31 ottobre 1517, quando Lutero affisse alle porte della chiesa del castello di Wittenberg 95 tesi contro le indulgenze, sfidando gli oppositori a pubblica discussione.
Questo atto è considerato dai protestanti come il primo atto della Riforma, e viene tuttora ricordato con una festa, che ha luogo nella prima domenica di novembre. Le tesi di Lutero in Germania incontrarono subito molte adesioni, mentre il papa lanciava la scomunica contro Lutero e gli ordinava di bruciare i suoi scritti. Lutero rispose bruciando la bolla pontificia e appellandosi a un concilio generale. Trascinato poi dalle circostanze, cominciò a scrivere contro la stessa autorità del papa, contro i voti monastici e contro il celibato ecclesiastico, respingendo gli stessi sacramenti (a eccezione del battesimo e dell’eucarestia) e fondando le sue convinzioni religiose sui due soli principi: la giustificazione mediante la fede e l’interpretazione della Bibbia basandosi non più sul magistero, ma sulla ispirazione individuale e sul libero esame. Seguono, a questa prima fase, i cosiddetti «manifesti della rivoluzione luterana» e l’intensa meditazione nel ritiro di Wartburg (1521).
Al motivo religioso si uniscono poi le implicazioni sociali e politiche (fiammata anabattista con i «profeti di Zwickau», 1522; rivolte dei «poveri cavalieri», 1522; rivoluzione dei contadini, 1524-a525); tanto che, alla fine, i principali protagonisti della vicenda diventano i principi e gli imperatori: dapprima su dimensione tedesca (dallo leghe confessionali alla pace di Augusta, 1555) e poi anche su dimensione europea (cuius regio, eius et religio; guerra dei Trent’Anni; Pace di Vestfalia). In Svizzera la riforma si diffuse per opera di Ulrich Zwingli che fin dal 1516 cominciò a predicare dottrine riformatrici, ma con un timbro diverso da quello di Lutero. Zwingli proveniva dall’umanesimo e operava in seno a un dinamico comune borghese: perciò la sua riforma fu teologicamente e praticamente più radicale di quella tedesca (la Messa fu sostituita da un culto che comprendeva quasi esclusivamente la predicazione senza liturgia; i sacramenti passarono in seconda linea). Sulla scia di Zurigo, buona parte dei cantoni svizzero-tedeschi accettarono lo zwinglianesimo. La catastrofe di Kappel (1531), in cui Zwingli perse la vita, arrestò l’espansione del suo movimento, che finì praticamente per confluire nel calvinismo (1547; Consensus Tigurinus). Un nuovo impulso alla riforma protestante fu dato da Giovanni Calvino, teologo francese, che, rifugiatosi a Ginevra nel 1536, fece della città svizzera un centro vivacissimo di irradiazione della riforma in tutte le regioni circostanti. Di qui partirono anche Teodoro di Beza e Giovanni Knox, che portarono la riforma rispettivamente in Francia e in Inghilterra. Udito di queste rivolte, anche i valdesi della Provenza e del Piemonte entrarono in contatto con i riformati e nel Sinodo di Cianforan (1532) adottarono le dottrine calviniste. Per quanto concerne le posizioni teologiche, Calvino dipende largamente da Lutero ma dà al suo pensiero riformato una catteristica accentuazione in senso attivistico ed etico. Anche Calvino, come Lutero, è pessimista nei confronti degli uomini, ma mentre Lutero deduceva da questa valutazione un atteggiamento di passiva sfiducia verso le possibilità della vita sociale-politica, per Calvino, invece, la constatazione della profonda corruzione dell’umanità è come un invito all’azione: i credenti debbono operare per trasformare il mondo, occorre lavorare energicamente per instaurare la sovranità di Dio. Quest’ultimo è compito degli eletti di Dio, di coloro cioè che sono stati scelti dalla libera volontà divina (predestinazione).

Oltre che come dottrina importata, in Inghilterra la riforma si sviluppò anche come ribellione locale. Una parte determinante ebbe, in questa ribellione, il re Enrico VIII il quale, desiderando divorziare dalla moglie Caterina d’Aragona e non avendone avuto il consenso dal papa Clemente VII, si proclamò capo della Chiesa d’Inghilterra obbligando tutte le autorità religiose a firmare la formula che dichiarava «non avere il vescovo di Roma autorità e giurisdizione in Inghilterra più di qualsiasi altro vescovo straniero». Benché separata dalla sede apostolica, la Chiesa anglicana intendeva conservare intatta la dottrina della fede; solo in seguito, sotto Edoardo VI, essa aderì a una professione di fede di 42 articoli, estratti quasi interamente dalle confessioni dei riformati di Germania (1553); sotto la regina Elisabetta i 42 articoli furono ridotti a 39 che, insieme al Prayer book per la liturgia, costituiscono tuttora la base dottrinale dell’anglicanesimo. Sotto l’influsso di idee anche calviniste, in Inghilterra sorsero altre sette protestanti, come i presbiteriani, i quaccheri, i puritani.

In Italia la riforma penetrò anzitutto per opera di signori e di studenti germanici, allora molto numerosi nelle nostre università. Dalla Germania importarono libri luterani; dalla Svizzera e dalla Francia si infiltrarono poi anche dottrine calviniste. Nuclei favorevoli alla riforma si formarono in alcune città come Venezia, Padova, Livorno, Modena, Lucca, Napoli; un altro centro molto vivace fu Ferrara, dove Renata di Francia accoglieva e proteggeva aderenti alle nuove idee. Perseguitati sia dalla Chiesa che dai principi, i riformati italiani dovettero cercare rifugio all’estero, soprattuto a Ginevra, dove si formò una Chiesa riformata italiana, con pastori propri. I senesi Lelio e Fausto Socino iniziarono anzi una loro setta, nota come socinianesimo. Nel complesso però in Italia la riforma non potè ottenere grandi risultati. I principali nuclei, attualmente esistenti, derivano o dai vecchi Valdesi, o da un protestantesimo intellettuale e borghese che s’è sviluppato in alcune città nella seconda metà del secolo XIX, o da comunità più recenti, suscitate dal proselitismo angloamericano di questo dopoguerra.

Nella Spagna la riforma ebbe poco successo per le stesse ragioni che ne impedirono l’espansione in Italia; ma più ancora perché l’imperatore Carlo V, che in Germania si era dimostrato opportunista, in Spagna e nei Paesi Bassi invece ricorse a violente repressioni, trasformando spesso l’Inquisizione, da tribunale prevalentemente ecclesiastico, in instrumentum regni.

Più movimentate e complesse le vicende della riforma in Francia. Le nuove idee si erano diffuse prevalentemente tra la nobiltà, mentre la borghesia era rimasta cattolica. Il re però, che si fregiava del titolo di «cristianissimo», appoggiandosi alla massima dei giuristi: «Un solo re, una sola fede», si mise a combattere l’eresia come delitto contro lo Stato, e i protestanti venivano perseguitati come nemici sia del trono che della Chiesa. Nonostante la persecuzione, i protestanti continuarono a crescere di numero e, assicuratisi l’appoggio della classe militare, tentarono perfino la conquista del potere. Si ebbero così: l’Editto di Romorantin (1560) che vietava lo stabilirsi dell’Inquisizione, il Colloquio di Poissy per tentare una conciliazione, e infine l’Editto di Saint-Germain (1562) che autorizzava l’esercizio del culto riformato. Ma quello stesso anno segnò anche l’inizio della prima delle otto guerre di religione, che insanguinarono la Francia fino al 1598. Un modus vivendi fu trovato con il famoso Editto di Nantes (1598), che prevedeva le cosiddette places de sûreté o città di sicurezza, le quali rischiarono però di diventare uno Stato nello Stato. Fu poi compito di Richelieu lottare contro questi privilegi attraverso lotte e persecuzioni a volte molto penose. L’Editto di Nantes venne abolito da Luigi XIV nel 1685. In Danimarca e in Norvegia la riforma venne introdotta dai sovrani Cristiano II (1513-1523), Federico I (1523-1533) e soprattutto Cristiano III (1533-1559); in Svezia da Gustavo Vasa (1523-1560) e poi definitivamente da Gustavo Adolfo (1611-1632). Nei paesi extra-europei essa si diffuse di pari passo con il diffondersi dell’influenza politica e culturale dei paesi anglosassoni.