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La globalizzazione modifica l’industria

Molte recenti trasformazioni avvenute in numerosi settori industriali sono…

Molte recenti trasformazioni avvenute in numerosi settori industriali sono dovute al susseguirsi di eventi noti con il nome di «globalizzazione».
La spina dorsale dell’industria tradizionale erano i settori siderurgico (legato alla lavorazione dell’acciaio), tessile, chimico e automobilistico.
Negli ultimi trent’anni l’industria siderurgica ha subito profonde ristrutturazioni in tutti i paesi industrializzati, con il conseguente dimezzamento del numero di occupati. Le cause sono molteplici. Anzitutto si è iniziato a rimpiazzare l’acciaio con nuovi materiali.
In secondo luogo, i paesi in via di sviluppo hanno aumentato la produzione, così da non dover dipendere dalle importazioni, e nel giro di pochi anni sono arrivati a sostituire la produzione dei paesi sviluppati per il 30%. Nuovi paesi, infine, si sono affacciati sul mercato rendendo più aspra la concorrenza.
L’industria chimica è stata investita da una crisi causata dai rincari del prezzo del petrolio, la sua materia prima fondamentale. Anche in questo caso sono emersi nuovi paesi produttori, ma la posizione di dominio è stata comunque mantenuta da Stati Uniti, Europa e Giappone. Ciò è avvenuto perché in questi paesi l’evoluzione tecnologica applicata alla chimica ha permesso di fare passi avanti, determinando una considerevole diversificazione nella produzione. Rispetto al passato, si è ridotta l’attività di raffinazione del petrolio, puntando sullo sviluppo di una chimica più specializzata, come quella farmaceutica, per la produzione di medicinali.

Quanto al mercato automobilistico, a partire dagli anni Cinquanta sono stati costruiti stabilimenti grandi e produttivi ed è stata incrementata la produzione: si conta che le fabbriche più moderne siano arrivate a immettere sul mercato una nuova auto ogni 11 secondi. Negli anni Sessanta la macchina è diventata un prodotto di consumo di massa, e nel giro di pochi decenni se ne sono vendute tante da saturare il mercato. Questo ha causato una battuta d’arresto della produzione sia in Europa sia in America, e la fase di stallo è stata acuita dalla concorrenza delle case automobilistiche giapponesi. Si pensi che se nel 1955 il Giappone produceva solo lo 0,1% delle automobili, nel 1975 ne produceva già il 18% e nel 2001 il 26%, rispetto al 16% degli stati Uniti.
Per fare fronte alla concorrenza sono stati innalzati gli standard qualitativi delle automobili: sono stati inseriti apparati elettronici e sistemi di sicurezza avanzati, sono stati rinnovati il design e l’aerodinamicità dei modelli, sono stati introdotti materiali più leggeri e tecnologie capaci di ridurre i fattori inquinanti (benzine senza piombo, marmitte catalitiche, motori a basso consumo, dispositivi di controllo automatico della velocità dell’automobile riducono il consumo di carburante).
Queste operazioni, che sicuramente hanno portato un grande progresso nel settore, non sono state in grado di contrastare efficacemente la concorrenza di paesi come il Giappone e la Corea, che applicando prezzi molto convenienti hanno invaso il mercato, garantendosene una cospicua fetta. Per resistere alla concorrenza, alcune grandi aziende di diversi paesi si sono fuse formando gruppi multinazionali. Ne sono un esempio la Renault-Nissan, nata dall’unione della famosa azienda francese e di quella giapponese, e la General Motors-Opel-Daewoo, frutto degli accordi tra le case americana, tedesca e coreana. Questi grandi gruppi controllano il 70% del mercato mondiale dell’automobile.