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La realtà nel cinena

Uno dei primi interventi rilevanti di riflessione sull’estetica del cinema è il saggio di Bela Balazs intitolato L’uomo invisibile (1924).

Uno dei primi interventi rilevanti di riflessione sull’estetica del cinema è il saggio di Bela Balazs intitolato L’uomo invisibile (1924).
In esso lo studioso ungherese individua la specificità del cinema nell’abolizione della distanza tra lo sguardo e la rappresentazione e nell’estensione a tal punto della sfera del visibile da rendere quasi impossibile la distinzione tra interiorità ed esteriorità dell’uomo.
Ciò dipende dal fatto che il cinema, che Balazs considera un vero e proprio linguaggio, ha la possibilità di scegliere e variare continuamente il punto di vista dal quale fissare la realtà. L’inquadratura è quindi la prima espressione della produttività dello sguardo cinematografico, che si completa di tutte le possibilità di collegamento e intensificazione degli effetti offerti dal montaggio.
L’idea di studiare il cinema applicando i principi e i metodi di studio del linguaggio viene ripresa dai formalisti russi, che possono essere considerati i precursori della semiologia del cinema. Nel volume collettivo Poetica Kino (1927), ad esempio, i formalisti privilegiano tutto ciò che appartiene al campo del «procedimento» rispetto alla riproduzione meccanica e spiegano la comprensione del fatto filmico come un intervento attivo della coscienza linguistica dello spettatore e non come mera ricezione di analogie più o meno pertinenti. L’obiettività del materiale filmato in sé non esiste. È il metodo formale che, attraverso il montaggio, conferisce un senso a quel materiale: la realtà non è da catturare ma da interpretare, da smontare e da ricostruire seguendo un preciso programma estetico in un organismo complesso e armonico. Il cinema, come dimostrerà Sergej Ejzenstejn nei suoi capolavori, deve poter «dire frasi» con due inquadrature accostate e, soprattutto, caricare di senso oggetti e immagini. Con l’avvento del sonoro, il principio di selezione e combinazione che sta alla base del montaggio degli elementi visivi viene applicato anche a quelli sonori e all’insieme delle relazioni tra l’universo visivo e quello sonoro. Il primato del montaggio rimarrà quindi il principio incontrastato della riflessione teorica degli anni Trenta e verrà messo in discussione solo più tardi dall’insegnamento di André Bazin.

Il critico francese, ispiratore dell’idea di cinema che anima il gruppo dei «Cahiers du Cinéma», opponeva al cinema del «montaggio analitico» un «cinema della realtà» caratterizzato dall’uso del piano-sequenza e della profondità di campo. Il cinema a cui pensava Bazin era un cinema in cui lo spettatore non venisse più guidato passo passo dal regista lungo un itinerario di lettura rigidamente prestabilito, ma fosse chiamato a integrare personalmente i vuoti lasciati da una scrittura «aperta» del testo filmico. La «realtà» proposta da questo cinema è così il frutto di una rilettura critica, autonoma e creativa dell’oggetto da rappresentare.