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La riduzione delle foreste temperate

L’Europa è stato il primo continente a «soffrire» per la presenza dell’uomo.

L’Europa è stato il primo continente a «soffrire» per la presenza dell’uomo. I paesaggi, la geografia stessa del continente, sono stati così profondamente mutati dall’azione plurimillenaria dell’uomo che degli habitat originari, quegli stessi che videro i primi insediamenti neolitici, non è rimasto in effetti praticamente nulla.
I cambiamenti sono avvenuti molto lentamente, in sintonia con l’emergere e l’affermarsi della nostra civiltà, con una gradualità che ha consentito, in molti casi, a piante e animali di adattarsi, ai mutamenti ambientali.
Tuttavia tale gradualità, che si differenzia dai brutali repentini cambiamenti che si sono determinati, nel breve svolgere degli ultimi secoli o decenni, nei continenti di più recente colonizzazione, quali Africa, Americhe, Australia, non deve far dimenticare la gravità, la vastità e l’irreversibilità del processo.
L’effetto più radicale è stato il quasi totale annientamento del manto forestale. Se si risale con il pensiero a sei o settemila anni fa, cioè nel  periodo postglaciale recente, il continente europeo e l’Italia stessa, dovevano apparire come un’unica immensa foresta primaria, dove si distinguevano solo poche elevate vette montuose che si stagliavano su una pianura punteggiata dai vari specchi d’acqua.

Il bosco mediterraneo fu il primo ecosistema a subire profonde alterazioni. Formato in gran parte da pini o da querce a foglia persistente, degradò ben presto a macchia-foresta, poi a macchia, e in larga parte addirittura a gariga (ambiente molto simile alla brughiera). Il continuo passaggio del fuoco e il pascolo del bestiame domestico condizionarono fortemente le sue capacità di rinnovamento, ne plasmarono definitivamente l’aspetto in cui si sentiva chiaramente l’intervento dell’uomo.
Le foreste di latifoglie regredirono anch’esse per far posto ai pascoli e alle coltivazioni e  la deforestazione fu portata avanti in modo sistematico di pari passo con gli insediamenti umani. Con brevi periodi di stasi nell’alto Medioevo, conseguenti alla caduta demografica e all’abbandono delle campagne, il processo proseguì poi a ritmi sempre più accelerati fino al secolo scorso; resistettero più a lungo, in sostanza, solo quei boschi che i grandi signori feudali desideravano conservare per le proprie esigenze di caccia o quelle poche foreste che apposite leggi riservarono per gli usi militari e civili che interessavano ai governi.

Analogo processo, ma assai più accelerato, subirono le foreste temperate del Nuovo Mondo.

Tutta la regione orientale del Canada e degli Stati Uniti era coperta, all’arrivo degli Europei, da dense formazioni forestali, dai vividi colori autunnali. Nel giro di un paio di secoli ben poco ne restava a testimonianza dell’antico splendore.Le foreste più settentrionali, cioè l’immensa fascia di formazioni di Conifere (pini, larici, abeti) che stringe come una gran cintura verde le regioni boreali dell’America e dell’Eurasia, hanno resistito più a lungo: se non altro grazie al più rigido clima che rendeva difficili le pratiche agricole e scoraggiava la creazioni di estesi insediamenti umani.

Le foreste temperate ancor oggi subiscono diverse offese di origine umana .E non soltanto per i pesanti tagli industriali che la continua fame di legname e le moderne tecniche di esbosco rendono sempre più rapidi e pesanti, ma anche per insidie di tipo nuovo, in particolare le micidiali piogge acide. Vaste zone dell’Europa centrale e settentrionale mostrano già evidenti i danni che ne derivano: punte degli alberi rinsecchite e riarse, rami in fase di deperimento, scheletri di alberi morti in piedi, intere foreste in condizioni drammatiche.

Il pericolo più diretto, il taglio puro e semplice di vaste regioni boschive, rischia d’intensificarsi sempre di più, perché viene vissuto come l’unica «risorsa da svendere» in cambio di valuta pregiata da parte di molti Paesi, specie quelli dell’Est europeo e dell’ex Unione Sovietica.