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Lamarck e la teoria sull’evoluzione

Jean Baptiste Lamarck era un naturalista e biologo francese.

Jean Baptiste Lamarck era un naturalista e biologo francese. Il suo grande merito è stato quello di essere andato contro le idee dei suoi contemporanei, elaborando per primo una teoria evoluzionista.
Prima di lui, gli scienziati ritenevano che gli esseri viventi fossero immutabili e non potessero subire alcuna trasformazione (teoria creazionista). Quando però Linneo riorganizzò le conoscenze zoologiche e botaniche dell’epoca, si iniziò a pensare che vi fossero delle relazioni tra specie simili. Lamarck, con il suo Philosophie Zoologique, si spinse oltre e affermò che l’aspetto attuale di ogni animale deriva da un lento processo di modificazioni, favorito dalle condizioni ambientali in cui vive. Affermò cioè che gli organismi viventi sono soggetti a cambiamento e che per sopravvivere si trasformano continuamente, adattarsi all’ambiente in cui vivono e dando origine a nuove specie.

Egli spiegò questa teoria facendo il famoso esempio della giraffa: secondo Lamarck, gli antenati della giraffa erano degli animali con il collo corto che si nutrivano di erba. Poiché le foglie degli alberi erano più appetitose dell’erba dei prati, che iniziava a scarseggiare poiché era diventato l’alimento prediletto anche di altre specie, alcune giraffe tentarono di raggiungerle allungando il loro collo, le gambe e la lingua. Questi infinitesimali allungamenti, non percepibili nel corso di poche generazioni, secondo il naturalista si dovevano essere trasmessi per eredità ai figli, che alla fine si sarebbero adattati, riuscendo a raggiungere anche le foglie più alte.

Gli antenati della giraffa che non hanno subito questo adattamento avrebbero originato un’altra specie di erbivori: le antilopi. Così, da uno stesso antenato, col passare delle generazioni si sarebbero prodotti animali sempre più diversi. La stessa cosa, secondo Lamarck, era avvenuta per tutte le altre specie, e per questo giunse alla conclusione che tutti gli animali si siano originati da un unico progenitore. Infine, il biologo francese affermò che il complesso dei cambiamenti cui sono soggette le specie deriva sempre da una spinta interna al cambiamento, che si manifesta attraverso «l’uso e il disuso delle parti» e «l’ereditarietà dei caratteri acquisiti».

Gli studi moderni hanno dimostrato che questa teoria era sbagliata: i caratteri acquisiti non possono essere tramandati di padre in figlio. Questo significa che se ad esempio una persona ha dei muscoli molto sviluppati perché nel corso della sua vita ha praticato molti sport, non necessariamente anche i figli saranno muscolosi: l’uso o l’atrofia di una parte del corpo portano alcuni caratteri a svilupparsi o a recedere in un individuo, senza che questo possa trasmetterli ai discendenti. Questi caratteri, infatti, vengono memorizzati nelle cellule somatiche (che costituiscono il corpo umano), e non in quelle germinali (come i gameti, che permettono la riproduzione e trasmettono l’informazione ereditaria).