La costruzione della basilica di San Vitale a Ravenna, iniziata dal vescovo Ecclesio…
La costruzione della basilica di San Vitale a Ravenna, iniziata dal vescovo Ecclesio al ritorno dalla sua missione a Costantinopoli del 525, venne completata e consacrata nel 547 dall’arcivescovo Massimiano. L’imperatore Giustiniano e l’imperatrice Teodora, che dovevano inaugurarla, non vennero mai a Ravenna.
Premesse storiche
Siamo nel periodo influenzato dal dominio di Giustiniano, imperatore romano d’Oriente dal 527 al 565 d.C., che si estende all’incirca a tutto il VI secolo.
Dopo i rivolgimenti del IV e V secolo, con l’ascesa al trono di Giustiniano si determinò una certa stabilità. «Egli prese le redini di uno stato scosso da grandi disordini; non lo ingrandì, ma lo rese non solo più stabile, ma anche più importante sotto ogni aspetto», secondo il racconto dell’illustre storico dell’epoca Procopio di Cesarea, stabilendo dei principi di identità giuridica che durarono poi per secoli. L’idea centrale di tutta la politica di questo imperatore, l’elemento dinamico che caratterizzò tutta un’epoca, fu quella della renovatio o recuperatio imperii, ossia del recupero dei principi giuridici e amministrativi dell’Impero romano e della restaurazione della vera fede nell’Impero del Mediterraneo. L’Impero romano è concepito come universale sotto l’aspetto giuridico e come idea politica. Bisanzio e l’imperatore continuano a considerarsi eredi dell’Impero romano: rivendicano, infatti, la definizione di romanoi (romani) e non di greci, come si designavano i bizantini.
Questi concetti filtrarono direttamente nella cultura delle popolazioni barbariche che incalzavano e, spesso, si trasferirono in Italia. Con questi popoli Giustiniano, quando poté, intrattenne rapporti diplomatici, mentre, con l’aiuto del suo grande condottiero Belisario, riconquistò gran parte dei domini dell’Impero combattendo contro la Persia, l’Africa e in Italia contro i goti. Egli, quindi, regnò, insieme con la moglie Teodora, come monarca assoluto: βασιλεύς (basileús = re, in greco). Ebbe potere decisionale e giurisdizionale su tutte le questioni, anche quelle religiose, nelle quali intervenne a favore dell’ortodossia cattolica (la posizione ufficiale del papa e dei vescovi) contro i movimenti eretici. Fu, quindi, considerato, insieme con Teodora, «piissimo» e venerato quasi come un dio.
L’atmosfera culturale della corte di Giustiniano ha un particolare segno. Infatti, pur nel rispetto della tradizione romana, si crea un nuovo stile, con la produzione della prima grande espressione dell’arte bizantina.
Fioriscono alla corte di Giustiniano tutte le forme della cultura: le scienze, la letteratura, la giurisprudenza. Ma la caratterizzazione maggiore di questa civiltà, la massima trasformazione della cultura classica, sta nelle opere figurative del periodo imperiale: nell’architettura, scultura, pittura e, naturalmente, nell’arte musiva (relativa al mosaico).
Il luogo
San Vitale, sorta nel momento del trapasso dalla dominazione gotica a quella bizantina, è una chiesa a pianta centrale con impianto ottagonale. Era preceduta da un quadriportico con nartece a forma di forcipe che costituiva la zona d’ingresso. Oggi il quadriportico non esiste più e l’ingresso è posto sul fronte sud. Al centro dell’ottagono, sostenuta da otto grossi pilastri, collegati con esedre, si eleva la cupola.
Dal centro della chiesa, attraverso una delle otto arcate, si prolunga il presbiterio tutto rivestito di mosaici, dallo zoccolo alla volta. Il legame tra architettura e decorazione musiva è fortissimo, tale da ritenersi inscindibile.
Le decorazioni di questo edificio compongono un ciclo organico nella raffigurazione. Le volte, i timpani, gli intradossi degli archi sono completamente rivestiti di figurazioni. Le connessioni e le saldature tra le varie scene sono ottenute con ghirlande o decorazioni geometriche.
Il contenuto è fortemente simbolico sia a livello generale sia a livello del particolare. Nell’insieme tutto il ciclo tende a celebrare l’importanza del sacrificio eucaristico riferendosi a esempi del Nuovo e del Vecchio Testamento. Attraverso il racconto simbolico si intravede la volontà di affermare il dogma contro l’eresia ariana (portata in Italia dai goti, appena sconfitti); i simboli sono anche i simboli del potere imperiale. Nel particolare ogni elemento, foglia o animale che sia, trova il suo riferimento in una simbologia che continuerà a essere rappresentata nelle scene religiose per diversi secoli. Come su accennato, dalla descrizione delle varie parti di quest’opera emerge una rete di rapporti tra il Nuovo e il Vecchio Testamento che esalta un momento saliente della liturgia della religione cristiana: l’eucarestia. Questo dimostra la grande cura che veniva posta nella scelta dell’impalcatura iconografica oltre che nella scelta degli artisti e dei materiali.
Descrizione iconografica
L’arco introduce il presbiterio è decorato nell’intradosso con medaglioni in cui sono raffigurati la testa del Cristo, dei dodici apostoli e dei presunti figli di san Vitale (Protasio e Gervasio).
Nella volta, quattro spicchi divisi da fasce fiorite hanno alla base dei pavoni che fanno la ruota e si riuniscono al centro in una ghirlanda che racchiude, nel cielo trapunto di stelle, l’agnello simbolo sacrificale del Cristo. Quattro angeli sollevati su steli alti fioriti sorreggono la ghirlanda. Tutt’intorno tralci di acanto compongono un favoloso pergolato, interrotte da animali saltellanti e voli di uccelli. L’uso di elementi della natura fa rivivere tutte le più vivaci note dell’arte ellenistica.
Ai lati vi sono due lunette e, al di sopra di queste, un ordine di trifore, inghirlandate da motivi di viticci. Intorno alle trifore, a destra e a sinistra, le figure degli evangelisti, sormontati dai loro simboli. Sulle pareti compaiono le figure dei profeti Mosè, Geremia e Isaia, rappresentati in qualche circostanza della loro storia (Mosè sull’Oreb e sul monte Sinai ecc.). Subito al di sopra delle due lunette, due angeli volanti che sorreggono un cerchio con all’interno una croce, motivo che si ritrova sull’arco trionfale.
Nella lunetta sulla destra sono rappresentate, in una sola, due scene: l’episodio dell’offerta di Abele a Dio (simboleggiato dalla mano protesa dall’alto entro un cerchio) e quello dell’offerta del pane da parte di Melchisedech, re e gran sacerdote di Gerusalemme.
Nella lunetta a sinistra sono raffigurate due scene. La prima mostra l’ospitalità di Abramo: egli riceve e serve a tavola, sotto un albero, i tre angeli messaggeri che si sono presentati a lui sotto forma di viandanti, e che predicono a Sara, in ascolto sulla soglia della capanna, la futura maternità. La seconda è la scena del sacrificio di Isacco da parte di Abramo che obbedisce al comando di Dio, pur se nel dolore. Questa obbedienza viene premiata da Dio, che interrompe il gesto di Abramo. Egli potrà «sacrificare», invece del figlio, il montone apparso improvvisamente. Queste offerte, pur essendo riferite al mondo ebraico, simboleggiano il sacrificio eucaristico. Le due rappresentazioni sono molto aderenti alla realtà, grazie alla descrizione del paesaggio e dei personaggi e alla resa prospettica dello spazio.
Sul fronte del grande arco che delimita la calotta sono schematizzate le due città simbolo di Gerusalemme e Betlemme; al centro due angeli volanti sostengono un disco, motivo simile a quello che abbiamo trovato sopra le lunette. Entro il disco vi sono otto fasci di luce.
Al centro della calotta absidale è il Cristo, rappresentato giovane e senza barba secondo l’iconografia occidentale, ispirata ancora alla cultura classica. È seduto su un grande globo azzurro che simboleggia il dominio della religione e della cultura cristiana sulle cose terrene e poggia sulla roccia. Lo affiancano due angeli che fanno da intermediari tra Cristo e gli altri due personaggi: san Vitale e il vescovo Ecclesio. Il santo ha il nimbo circolare, è vestito di una tunica molto decorata e porge all’angelo un lembo del proprio mantello per accogliervi la corona che il Cristo gli porge come segno della gloria celeste che premia il suo martirio. Ecclesio reca il modellino della chiesa di cui ha voluto l’erezione. Le figure si stagliano su una distesa dorata che simboleggia la luce della gloria divina: il riverbero è accentuato dalla curvatura della superficie del catino. Accenni al paesaggio sono costituiti dai quattro fiumi simbolici che sgorgano dal globo, dalla schematizzazione del terreno da cui sbocciano fiori bianchi e rossi del paradiso e da alcune nuvole del cielo. Si può paragonare questa calotta a poche altre della produzione romana rimasteci: una precedente, l’altra addirittura contemporanea a quella ravennate.
La prima è l’abside di Santa Pudenziana a Roma, una delle absidi cristiane a mosaico più antiche che conosciamo (chiesa voluta da papa Siricio nel 384-399). Cristo, attorniato dai dodici apostoli, siede con essi in un’esedra, dietro di loro due figure femminili incoronano san Pietro e san Paolo. Esse simboleggiano la tradizione cristiana proveniente dal mondo ebraico e quella derivante dal mondo romano o dai gentili. Dietro l’esedra si intravedono una grande e dominante croce del Golgota, i simboli degli evangelisti e i monumenti della città di Gerusalemme. Le figure sono ben modellate e definite, variamente mosse e molto realistiche. Il gruppo fa pensare alle riunioni dei «savi» di tipo ellenistico o romano e le figure femminili a quella della vittoria nelle rappresentazioni cesaree. Rappresentazioni come questa ricordano anche, per lo sfumato e la gradazione dei colori ottenuti con una raffinata tecnica musiva, i pavimenti delle chiese palestinesi. Purtroppo, il catino è stato tagliato nel XVIII secolo da una inquadratura architettonica in stucco.
L’altra abside che si vuole ricordare è quella dei Santi Cosma e Damiano, anch’essa a Roma, realizzata sotto papa Felice IV nel 526-530.
Questo mosaico rappresenta un successivo passo nell’astrazione e nella definizione dello stile bizantino dell’arte musiva. Il Cristo è rappresentato circondato dai santi Cosma e Damiano con la corona del martirio accompagnati dai santi Pietro e Paolo. I gesti ampi e solenni dei santi, da senatori romani, e la particolarità del costume sontuoso di san Teodoro al margine destro contrastano con l’aspetto sovrannaturale del Cristo tra le nubi. Il Cristo si differenzia dalla rappresentazione di San Vitale poiché iconograficamente simile ai caratteri orientali: rappresentato, quindi, non come un fanciullo o un giovane imberbe, ma come un uomo maturo. L’atteggiamento dei personaggi è rigido, gli occhi spalancati. Lo sfondo è cupo, ma le nubi stilizzate accendono, una volta illuminate, tutto lo sfondo di guizzi rossi.
Le emozioni delle figurazioni del sacello trovano una loro conclusione nei grandi pannelli che contornano il catino centrale nella fascia bassa e che hanno un carattere insieme storico e simbolico. Vi sono raffigurati due cortei con l’imperatore Giustiniano e l’imperatrice Teodora.
Nel pannello a destra l’imperatore, con il manto di porpora e il nimbo che simboleggia il potere conferitogli da Dio, appare nell’atto di fare il suo ingresso nel tempio, recando, quale offerta, una grande patera d’oro che servirà per il sacrificio della messa. È preceduto da due dignitari ecclesiastici, dall’arcivescovo Massimiano (si legge il suo nome in alto), fiancheggiato da altri personaggi di corte e seguito dal corpo di guardia. Nel pannello a sinistra compare l’imperatrice, anch’essa nimbata, rappresentata nel portico; dietro di essa si riconosce l’abside. Entra nella chiesa recando, come offerta, il prezioso calice che servirà per la messa. È vestita di un ampio mantello sul cui bordo è rappresentata l’offerta dei magi, è ornata con diadema e pettorale ricco di gemme preziose. Teodora sovrasta, in statura, gli altri personaggi presenti, anche maschili (storicamente, invece, ella è definita come piuttosto piccola). Precedono l’imperatrice due dignitari, uno dei quali – quello che guida il corteo – solleva la tenda per consentire l’ingresso nella chiesa, mentre l’altro reca in mano il prezioso regalo; la seguono dame in abiti sfarzosi e il gruppo delle ancelle.
Un cerimoniale preciso sottende questi cortei; sicuramente la rappresentazione è compresa tra il 546, anno dell’elezione di Massimiano, e il 548, anno della morte di Teodora.
È importante considerare le ragioni della presenza delle due teorie (cortei) con la coppia imperiale all’interno della chiesa. I pannelli non sono solo decorativi, ma rispondono a un’esigenza sociale del cosmo cristiano raffigurato in questo edificio: accanto alla torreggiante figura del signore divino del mondo deve essere presente anche la sua forma visibile, che è quella del signore terreno.
Composizione
La prospettiva è falsata, i personaggi hanno, rispetto agli elementi dell’ambiente, una predominanza notevole. C’è la negazione assoluta dei valori plastici (volume dei corpi) e le figure risultano definite sul fondo chiaro, astratto, color oro, sul quale le loro sagome, anch’esse astratte, quasi si stampano.
Nei volti si nota ancora una certa caratterizzazione fisionomica: impressionanti, soprattutto, sono quelli di Teodora e di Massimiano, nonostante gli occhi siano spalancati e fissi. Ma i corpi non hanno più volume, né peso; sembrano sollevati da terra e sfuggono alla definizione spaziale. Le figure, così, prive di valore corporeo, non si distinguono né in larghezza né in profondità. La composizione complessiva ha un andamento ritmico e induce un senso di movimento che, però, è solo movimento collettivo. Il moto è suggerito da particolari quali l’inclinazione delle vesti, i corpi sono posti di fianco, mentre i volti e le spalle di fronte.
Il colore raggiunge note di vivacità e di ricchezza altissime per la luminosa policromia sia nel particolare delle descrizioni delle vesti sia nell’insieme e nelle decorazioni di fondo: ghirlande, disegni geometrici ecc.
I mosaicisti avevano a disposizione una tavolozza ricca di colori e di gradazioni e inoltre ricorrevano ad accorgimenti che arricchivano le gamme. Per esempio spesso le vesti d’oro contengono tessere gialle, verdi, marroni, e negli sfondi d’oro venivano poste tessere capovolte così che la superficie, punteggiata di macchie scure, fosse più animata.
La luce ha un’importanza eccezionale per il materiale utilizzato. I piccoli dadi toccati dal raggio luminoso sono capaci di sprigionare vivaci riflessi e il loro insieme accende e fa risaltare i contrasti; basta, inoltre, una piccola imperfezione nella complanarità delle facce per scatenare un gioco di rifrazioni, che moltiplica la luminosità.
Conclusioni
Vi sono, negli elementi descritti, motivi di derivazione decisamente classica ma, specie i due pannelli con le figure della coppia imperiale, assumono un carattere decisamente astratto. Nell’abside, a motivi classici, come ad esempio la caratterizzazione del Cristo giovane, si associano inflessioni che saranno tipiche dell’arte bizantina, come lo sfondo irreale e la simbologia. In quest’arte si compie la sintesi, già iniziata nel IV e V secolo, di tradizioni artistiche di carattere occidentale e orientale. Ne risulta uno stile unitario che, nel contempo, è tradizione e nuova creazione, una creazione in cui si fondono i motivi dell’arte tardoromana e orientale. Da un’arte di tradizione ellenistico-romana, che riproduce la realtà puntualmente nella sua plasticità tridimensionale, si arriva a una frontalità rigidamente bidimensionale in cui si dà maggiore importanza all’ornamento formalizzato. L’arte non è più una forma di appagamento del gusto estetico, ma ha uno scopo di più alto valore: lasciare intravedere l’ultraterreno. Nelle grandi creazioni giustinianee è sorto uno stile imperiale unitario, che impronterà di sé opere prodotte nei secoli futuri e che sarà il grande modello per i successivi stili bizantini di terre anche molto lontane tra loro: Roma, Sicilia, Spagna, Africa, Venezia, Balcani, Russia.
I mosaici
Tecnica figurativa che impiega piccoli dadi di pietra o di pasta vitrea, chiamati tessere o tesselle, connessi in modo da raffigurare un soggetto dato. Costituisce un metodo durevole per la decorazione anche perché resistente all’umidità.
Il processo ha tre tempi: il disegno, la tecnica con cui si riporta il disegno sullo stucco preparatorio del muro, chiamato letto, e la messa in opera vera e propria delle tessere. I mosaici pavimentali, assai usati dai romani, potevano essere ottenuti con schegge rettangolari di pietra (opus sectile) o con pietruzze cubiche (opus tassellatum); le tessere di pasta vitrea, usate particolarmente per i mosaici parietali, risalgono all’età alessandrina (della produzione greco-romana) e furono particolarmente usate, diventandone motivo tipico, nelle nuove chiese cristiane. Così, non solo le tecniche, ma anche motivi decorativi classici vengono sviluppati e riproposti in senso cristiano.
La più antica decorazione musiva cristiana occidentale che noi conosciamo è quella del mausoleo di Santa Costanza a Roma, dove elementi dionisiaci sparsi su fondo bianco acquistano i significati simbolici della nuova religione.
Glossario
Intradosso. Superficie interna di una volta o di un arco; si dice anche della superficie interna del vano di una porta o finestra relativa allo spessore del muro.
Lunetta. Parte di parete limitata superiormente da un arco, in particolare sopra delle aperture (porte-finestre).
Nartece. Porticato esterno addossato alla facciata delle chiese paleocristiane e romaniche.
Nimbo. Aureola luminosa posta dietro la testa di personaggi importanti nell’iconografia sacra pagana e quindi cristiana. Tonda si riferisce a personaggi divinizzati (Cristo, Madonna, santi), rettangolare si riferisce a personaggi ancora vivi.
Patera. Coppa piatta e rotonda usata da greci e romani per libagioni sacre e dai cristiani per riporvi le ostie consacrate.
Timpano. Parete triangolare liscia o decorata a rilievo, nel frontone di un tempio.
Trifora. Tipo di finestra, caratteristica dell’architettura medievale, in cui il vano è suddiviso in tre luci minori, riunite in un unico motivo architettonico.