Poeta italiano (Recanati 1798 – Napoli 1837).
Poeta italiano (Recanati 1798 – Napoli 1837).
Primogenito di cinque figli, Giacomo Leopardi si distinse per vivacità, spirito, intelligenza nella prima infanzia.
Ma con il passare degli anni, quella vivacità e quella superiorità si sentirono sempre più soffocate nella casa paterna e nel borgo natio, tra gli schemi di un’educazione troppo rigida e antiquata. Il padre, il conte Monaldo, era un erudito bibliofilo di idee reazionarie; la madre, Adelaide dei marchesi Antici, dura e severa, era impegnata a riassestare il patrimonio di famiglia compromesso dall’incapacità di Monaldo. La prima reazione a questa situazione familiare furono sette anni di «studio matto e disperatissimo», durante i quali il giovanissimo Leopardi si immerse nelle letture della ricca biblioteca paterna, compromettendo la propria salute negli anni in cui si andava formando.
Nonostante le prime prove poetiche (il sonetto La morte di Ettore, 1809, e due tragedie, La virtù indiana e Pompeo in Egitto, 1814), la passione per gli studi eruditi e filologici lo prese totalmente, ed egli imparò il greco e l’ebraico, compose una Storia dell’Astronomia (1813), un Saggio sopra gli errori popolari degli Antichi (1815) e studiò autori dimenticati. Nel 1815 scrisse anche l’Orazione agli Italiani per la liberazione del Piceno e molte traduzioni che rivelano il desiderio di un lavoro non solo erudito ma anche letterario (la Batracomiomachia e, l’anno seguente, il I libro dell’Odissea, il II dell’Eneide e la Titanomachia di Esiodo, per citarne solo alcune).
Il 1816 maturò il distacco dai puri interessi filologici per un fervido interesse verso una letteratura meno esclusiva e verso la poesia. Compose Le rimembranze, contestò l’esortazione di Madame de Stäel a rinnovare la letteratura italiana attraverso la traduzione e lo studio degli scrittori stranieri e stese il Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica. Tra il 1816 e il 1818 prese a interessarsi anche alla politica e alla filosofia, confermando questo cambiamento con le due canzoni patriottiche All’Italia e Sopra il monumento di Dante (1818), che segnarono il distacco completo dalle idee politiche reazionarie del padre e del suo stesso periodo giovanile. Nel campo filosofico, alla fede e alle convinzioni cristiane in cui era stato severamente allevato subentrò un razionalismo materialistico.
A 19 anni Leopardi provò un improvviso sentimento d’amore per la cugina Geltrude Cassi in Lazzari, un’esperienza che lo lasciò deluso e amareggiato e che trovò eco in due elegie. Queste tempeste dello spirito e l’angusto ambiente di Recanati accrescevano il suo stato di ribellione e abbattimento, il suo senso di solitudine e di malinconia. Sul deserto di quello stato d’animo fiorì la lirica L’infinito, romantico oblio dello spirito attraverso la voce della natura, l’espressione più alta dei suoi primi idilli. Da allora la poesia e la letteratura divennero il conforto della sua pena. Tra il 1819 e il 1822 progettò romanzi e dialoghi satirici, approfondì le letture fatte dando giudizi personali e acutissimi (su Omero, Ossian, Parini, Metastasio, Alfieri ecc.), meditò sull’arte, sulla filosofia, sulla religione. Soprattutto proseguì nella stesura dei piccoli idilli (La sera del dì di festa, Il sogno, La vita solitaria) e iniziò le canzoni filosofiche che rivelano un tono meditativo più distaccato, preludio alle Operette morali (Ad Angelo Mai, Nelle nozze della sorella Paolina, Alla primavera, Ultimo canto di Saffo, Inno ai Patriarchi).
Alla fine del 1822, ebbe finalmente la possibilità di lasciare Recanati e di recarsi a Roma presso lo zio Carlo Antici. Roma però lo deluse: la sua sensibilità rimase offesa dal quadro di una vita mondana, sciocca, di costumi frivoli, di donne volgari. L’unica commozione profonda gli venne dalla visita alla tomba del Tasso. Nel maggio del 1823 tornò a Recanati e, ormai chiuso in una solitudine desolata, maturò il passaggio a una nuova fase creativa, l’abbandono della poesia per la prosa delle Operette morali (1824-1827). Leopardi leva la voce contro il trascendente, causa divina non trovata e cercata in modo inutile e illusoriamente consolatorio. Egli vuole smascherare l’errore dell’infinita perfettibilità del genere umano e del suo costante progredire verso una felicità inesistente. Questa missione illuminatrice è affidata all’ironia.
Nel 1825 Leopardi si trasferì a Milano, quindi a Bologna e, nel 1827, a Firenze, accolto nel gruppo degli scrittori raccolti intorno all’Antologia del Vieusseux, dove incontrò Manzoni; in seguito andò a Pisa, poi ancora a Firenze, e nel 1828 tornò a Recanati. Sono del 1828 Il Risorgimento e A Silvia, una lirica in cui il tema della morte non distrugge la tenerezza di un casto idillio, uno dei capolavori della poesia romantica e della poesia d’ogni tempo. A Recanati, «soffocato da una malinconia che era ormai poco men che pazzia», nacquero i grandi idilli, Le ricordanze, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio e il Canto di un pastore errante dell’Asia.
Nel 1830 lasciò definitivamente la famiglia e accettò l’invito di un gruppo di letterati a recarsi a Firenze, dove ebbe il conforto di quegli amici toscani ai quali dedicò la prima edizione delle sue poesie, i Canti (1831), che riscosse un grande e immediato successo nell’ambiente letterario. Tra le nuove amicizie, quella di Antonio Ranieri suscitò in lui un’improvvisa passione e gli diede una delusione ancor più disperata: ne nacquero i canti dell’inganno estremo, Il pensiero dominante, Amore e morte, Consalvo, A se stesso e più tardi, Aspasia.
Alla fine del 1833, quando Ranieri, napoletano esule a Firenze, ottenne di tornare in patria, Leopardi accettò l’invito a seguirlo, allettato dal clima della città e dalla certezza di cure affettuose da parte dell’amico e della sorella Paolina. Benché Ranieri cercasse di introdurlo nell’ambiente letterario napoletano, Leopardi visse isolato. Compose allora l’ultimo dei suoi grandi canti, La ginestra (1836). Lo sconforto e la desolata amarezza di quest’ultimo periodo si espressero ancora una volta attraverso l’arma dell’ironia nella Palinodia al marchese Gino Capponi contro l’ottimismo illuministico (v. illuminismo), nella satira I nuovi credenti contro le illusioni degli spiritualisti, nei Paralipomeni alla Batracomiomachia contro le illusioni dei patrioti. Il suo sguardo si fissò poi sul tema della morte con Sopra un bassorilievo antico sepolcrale e Sopra un ritratto di bella donna (1834-1835), mentre dettò gli ultimi versi de Il tramonto della luna sul letto di morte. Si spense assistito fraternamente da Ranieri, che pubblicò nel 1880 Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi.
A cura di una commissione governativa presieduta da Giosuè Carducci uscì tra il 1898 e il 1900 l’inedito Zibaldone, con il titolo di Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura (7 volumi). Si tratta di un diario le cui prime annotazioni risalgono al 1817 e cresceranno a dismisura fino al 1832, che rappresenta uno sterminato laboratorio in cui si alternano pensieri filosofici e abbozzi di studi, pagine di compiuta poesia e fulminei appunti introspettivi, analisi minuziose dei congegni della memoria, dei sensi e dei sentimenti, riflessioni sui rapporti tra individuo e società, dissertazioni filologiche, considerazioni sulle lingue e sulle letterature antiche e moderne.