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Manzoni, Alessandro

Scrittore italiano (Milano 1785 – 1873).

Scrittore italiano (Milano 1785 – 1873).
Per gli interessi che ha suscitato e suscita, la figura del poeta, prosatore e pensatore occupa il posto più cospicuo nelle lettere italiane del XIX secolo, pur tanto complesso per varietà e ricchezza di motivi, di pensiero e d’arte.
Figlio di Pietro Manzoni e donna Giulia Beccaria (figlia a sua volta dell’illuminista Cesare Beccaria), destinati a separarsi dopo un matrimonio ben presto rivelatosi infelice, fu affidato ai somaschi di Merate e in seguito ai barnabiti di Milano. Conservò un ricordo negativo di quella scuola rigida e formale, ma lì ebbe modo di conoscere i classici e di entrare in contatto con gli autori a lui contemporanei (Alfieri, Parini, Monti) e con i pensatori francesi (Voltaire, Rousseau, Helvétius, Condorcet). La lezione degli esuli napoletani (Cuoco e Lomonaco) lo aiutò poi a maturare un senso vivo della storia.
A sedici anni scrisse il poemetto Il trionfo della Libertà, manifestando uno spirito giacobino e ispirandosi alla poesia di Monti, con cui fu in stretti rapporti di amicizia. Tra il 1801 e il 1806 scrisse poesie di una straordinaria maturità letteraria: L’Adda (1803), i Sermoni, il carme In morte di Carlo Imbonati.
A Parigi, dove la madre lo volle presso di sé, entrò nei circoli e nei salotti degli epigoni dell’illuminismo avvicinandosi a Guizot, Constant, Cabanis e stringendo importanti amicizie con l’élite letteraria. Frequentò soprattutto il salotto intellettuale della vedova Condorcet, dove si riunivano gli idéologues, intellettuali libertari, socialmente impegnati, che affinarono in lui il rigore intellettuale e morale, insieme con la lezione dei maestri del pensiero (Diderot e Voltaire). Si potrebbe concludere che l’atteggiamento razionalistico, volterriano, areligioso se non irreligioso della giovinezza non derivasse, quindi, da un convincimento spirituale.
Nel 1808 sposò con il rito evangelico la calvinista (v. Calvino, Giovanni) Enrichetta Blondel, convertitasi nel 1810 al cattolicesimo, scelta di professione religiosa che, assieme al miracolo di San Rocco, restituì a Manzoni la fede della sua prima adolescenza. Questa conversione si può quindi considerare il punto di arrivo di una lenta riconquista intellettuale del cristianesimo o della ricerca di un equilibrio interiore. In ogni caso, essa fu determinante per l’impronta che diede all’opera dello scrittore, stimolandone il sentimento religioso. Egli tuttavia non volle mai spiegare il motivo del suo riavvicinamento alla fede, nel quale fu indubbiamente influenzato dai giansenisti e da sacerdoti colti e pii come Degola e Tosi.
La conversione fu totale e senza riserve, e non rimase nell’ambito dell’emotività sentimentale, ma condizionò l’attività critica e creativa dello scrittore, al quale parve di vedere nel romanticismo italiano una tendenza ispirata al cristianesimo; per questo del romanticismo abbracciò aspirazioni e motivi, fino a divenirne il più eminente rappresentante. La conversione religiosa coincise con il distacco dai modi classicheggianti delle prime poesie. Infatti compose con nuove cadenze ritmiche gli Inni Sacri (La Resurrezione, 1812; Il nome di Maria; Il Natale,1813), pubblicati con la Passione nel 1815 (La Pentecoste apparve nel 1822, quasi a preannunciare, attraverso la sua matura ispirazione, la complessità etico-religiosa del suo grande romanzo). Nel 1819 scrisse le Osservazioni sulla morale cattolica; nel 1821 Il Cinque Maggio, ode scritta per la morte di Napoleone con cui giustifica questo rinnovato sentimento cristiano. Tra il 1816 e il 1822 elaborò e compose due tragedie: il Conte di Carmagnola (1820) e l’Adelchi (1822), attraverso un paziente lavoro di ricerca erudita e di preparazione critica che diede i suoi frutti in lavori preliminari di carattere storico (Discorso sopra alcuni punti della Storia longobardica in Italia) e in un’anticipazione del contenuto della Lettera allo Chauvet (1823). Queste opere testimoniano l’interesse del pensatore per i rapporti intercorrenti tra arte e verità, tra storia e poesia. Nell’affrontare il genere teatrale (v. teatro), Manzoni confutò le opinioni negative espresse su questo genere da alcuni moralisti, ne difese la funzione educativa e proclamò la rottura delle rigide regole classicistiche. I temi storici trattati in entrambe le opere (le guerre tra gli stati italiani nel Carmagnola, la dominazione straniera nell’Adelchi) alludevano alla situazione contemporanea dell’Italia, divisa e assoggettata.

Nel 1821 lo scrittore si ritirò nella villa di Prusuglio, a meditare e a studiare e, tra il 1821 e 1827 scrisse I promessi sposi.
Negli anni della maturità ebbe malanni fisici e turbamenti intimi in parte determinati dalle precoci morti dei familiari. Dopo quattro anni di vedovanza, si risposò nel 1837 con Teresa Borri vedova Stampa, a cui egli sopravvisse, come a cinque dei sette figli avuti dal primo matrimonio; questi eventi dolorosi furono forse decisivi per l’inaridirsi dell’attività creativa, ma trovarono lenimento negli interessi religiosi, filosofici, storici, estetici e linguistici. Dopo il 1840 questi interessi lo assorbirono totalmente, come dimostrano la Storia della colonna infame (apparsa in appendice all’edizione del 1842 de I promessi sposi), il discorso Del romanzo storico, il dialogo Dell’invenzione, il saggio su La rivoluzione francese dell’89 e la rivoluzione italiana del 1859, oltre agli studi di lingua. Tali studi, che abbracciano un cinquantennio di meditazioni e di esperienze dell’artista e dello studioso, ripropongono il quesito illuministico dell’origine del linguaggio e si presentano come una tra le più valide affermazioni del romanticismo italiano, rafforzando la coscienza di una unità nazionale attraverso la soluzione unitaria al secolare problema della lingua.