È così chiamata, per l’approssimativo numero dei partecipanti, la spedizione guidata da Giuseppe Garibaldi…
È così chiamata, per l’approssimativo numero dei partecipanti, la spedizione guidata da Giuseppe Garibaldi che, abbattendo il Regno delle Due Sicilie, diede l’impulso alla formazione dello stato unitario italiano.
Suoi precedenti sono i progetti e le spedizioni mazziniane (in particolare quelle dei fratelli Bandiera nel 1844 e di Carlo Pisacane nel 1857) per la liberazione del sud. Mazziniani di origine e rimasti vicini alle posizioni di Mazzini furono i suoi ideatori Francesco Crispi, Rosolino Pilo e Agostino Bertani, che convinsero Garibaldi all’impresa. Alla preparazione della spedizione si collegano strettamente lo scoppio dell’insurrezione a Palermo nella notte tra il 3 e il 4 aprile 1860, il suo successivo estendersi in tutta la Sicilia e il favore della popolazione locale. Approntata a Genova tra varie difficoltà, causate talora anche dal governo piemontese (che però nel complesso la permise e la favorì), la spedizione partì da Quarto nella notte dal 5 al 6 maggio 1860 sui piroscafi della compagnia Rubattino Il Piemonte e Il Lombardo. Durante una sosta a Talamone (7-8 maggio) fu completato l’armamento e sbarcata una colonna di 64 uomini che avrebbe dovuto invadere lo stato pontificio. Ripartiti il 9, i Mille sbarcarono a Marsala l’11, sfuggendo alla caccia della flotta borbonica; di lì marciarono su Salemi, mentre si univano a loro squadre di insorti locali («picciotti»). A Salemi, il 14, Garibaldi assunse la dittatura della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II e il giorno successivo avvenne presso Calatafimi il primo duro scontro con le truppe borboniche, che vennero battute in un assalto alla baionetta, anche se più numerose e meglio armate. Seguirono per la spedizione momenti difficili (tra l’altro il 21 maggio cadde Rosolino Pilo), superati da Garibaldi con lo svolgimento di un’abile manovra che distrasse numerose forze borboniche dalla difesa di Palermo.
Venne così investito il capoluogo, che per tre giorni (27-29 maggio) fu teatro di accaniti combattimenti e fu quindi abbandonato dai napoletani dopo un armistizio (31 maggio). A questo punto Francesco II promise la costituzione con una particolare autonomia per la Sicilia, inviando anche una missione a Torino per l’intesa con il Piemonte (25 giugno); ma il tentativo di salvataggio della monarchia meridionale giungeva troppo tardi sia per gli ulteriori successi garibaldini sia per l’atteggiamento del governo piemontese, deciso ormai a cogliere i vantaggi della riuscita spedizione. Questa venne ora più fattivamente assecondata da Torino, favorendo l’invio di nuovi volontari, ma anche controllata nel suo andamento e negli scopi. Tra l’altro, Torino premeva per una sollecita annessione della Sicilia e cercava di sottrarre Garibaldi all’influenza mazziniana e del Partito d’azione. Alle preoccupazioni politiche dei moderati per un sopravvento repubblicano si aggiunsero quelle sociali per le rivendicazioni agrarie, che avevano avuto notevole peso nella mobilitazione antiborbonica delle classi contadine. Nel frattempo, dopo altri momenti difficili (la battaglia di Milazzo del 20 luglio, terminata tuttavia con esito favorevole), le forze garibaldine il 27 entrarono in Messina e nella notte tra il 18 e il 19 agosto avvenne il passaggio in Calabria. Contro il parere di Cavour, che voleva prevenire il passaggio di Garibaldi sul continente con un’insurrezione a Napoli diretta dai moderati, il re – pur invitando pubblicamente il generale a desistere per le pressioni di Napoleone III – lo incoraggiò in segreto all’azione. L’insurrezione in Calabria e in Basilicata spianò la via all’avanzata garibaldina, mentre l’esercito borbonico si dissolveva. Il 7 settembre Garibaldi entrò in Napoli, dove si formò un governo provvisorio di orientamento piuttosto moderato. L’11 le truppe sarde varcarono la frontiera dello stato pontificio, iniziando la loro marcia convergente verso il sud con la conquista dell’Umbria e delle Marche, completata alla fine di settembre. Il 1° e il 2 ottobre i garibaldini infransero sul Volturno l’ultimo tentativo di riscossa borbonica e il 26 il generale si incontrò a Teano con Vittorio Emanuele II, entrando quindi con lui a Napoli, dove rinunciò alla dittatura (8 novembre). Già il 21 ottobre si erano svolti i plebisciti, che sancirono con schiacciante maggioranza l’annessione. Ultimi centri della resistenza borbonica furono Gaeta, espugnata dopo lungo assedio il 13 febbraio 1861, la cittadella di Messina (13 marzo) e Civitella del Tronto (20 marzo).