Termine con il quale sono usualmente denominate le assemblee legislative istituite presso uno stato.
(camere) istituite presso uno stato. In alcuni ordinamenti costituzionali (v. costituzione) che prevedono un’unica assemblea, il parlamento si identifica con essa; nei sistemi bicamerali (v. bicameralismo), invece, il potere legislativo è generalmente ripartito (accanto a una camera eletta con forme di rappresentanza proporzionale, è istituita una seconda assemblea i cui componenti sono scelti in base a criteri variabili da uno stato all’altro). L’indicazione popolare (v. popolo) dei membri del parlamento dà vita a una sorta di rapporto di rappresentanza. Tale rapporto, tuttavia, è del tutto peculiare: in Italia, ad esempio, è espressamente vietato il mandato imperativo, in quanto il conferimento del voto popolare deve essere privo di qualsiasi condizione o imposizione fatta al rappresentante da parte degli elettori (v. elettorato). Secondo un principio esplicito della Costituzione della Repubblica Italiana, infatti, i parlamentari non rappresentano mai i singoli cittadini (v. cittadinanza) che li hanno eletti ma devono sempre agire come rappresentanti dell’intera nazione nella sua unità.
Generalmente, presso tutti gli stati, il parlamento gode di speciali garanzie di autonomia: gli è riconosciuta la potestà regolamentare (ossia di darsi le norme per il pratico esercizio della funzione legislativa e per lo svolgimento delle procedure e delle riunioni assembleari); gli è affidato in via esclusiva il compito di valutazione sulle qualifiche essenziali dei propri membri; gli è riconosciuto il potere di approvare il proprio bilancio e d’impedire l’ingresso della forza pubblica nei locali in cui si riuniscono le assemblee. In favore dei singoli membri del parlamento, inoltre, sono previste l’insindacabilità (vale a dire l’impossibilità di sottoporli a critiche, sanzioni e persecuzioni per i voti dati e le opinioni espresse) e l’immunità (per cui non possono venir sottoposti a misure restrittive della libertà senza autorizzazione della camera cui appartengono).
Le camere sono rette ciascuna da un presidente, coadiuvato da più vicepresidenti e da segretari. Presso ogni parlamento, inoltre, si delineano vari gruppi di membri, che rispecchiano la varietà politica e la consistenza dei diversi partiti in cui è frazionata ideologicamente (v. ideologia) la massa dei rappresentanti scelti dal popolo. Fra questi gruppi si ricordano le commissioni parlamentari, con mansioni temporanee (per l’esame preventivo delle delibere camerali). La funzione legislativa del parlamento italiano è espletata mediante una serie di procedure, in varie fasi progressive: inizialmente si procede all’esame preventivo dei progetti (v. disegno di legge) da parte delle rispettive commissioni competenti; in altri casi, alle commissioni è conferito il potere di procedere direttamente all’approvazione delle leggi (procedimento decentrato); in altri casi ancora le commissioni hanno il compito di curare la formulazione di progetti di legge su criteri di massima dettati dalle camere. Le delibere di approvazione delle leggi sono prese dalle camere a maggioranza di voti: per ogni legge occorre la votazione di entrambe le assemblee, senza però che sia fissato alcun ordine di precedenza. Per le leggi costituzionali (v. revisione costituzionale) sono necessarie invece due successive delibere di entrambe le camere, con un intervallo di almeno 3 mesi tra l’una e l’altra decisione della stessa assemblea; le decisioni devono essere adottate a maggioranza assoluta dei componenti di ognuna.
Oltre alle funzioni legislative, al parlamento sono affidati poteri decisionali per l’esecuzione di importanti provvedimenti esecutivi (concessione dell’amnistia e dell’indulto, ratifica dei trattati internazionali, dichiarazione di guerra), l’esercizio di una funzione di controllo sul governo (interrogazioni, interpellanze, mozioni, inchieste) e compiti di natura giudiziale. Ulteriori compiti sono attribuiti al parlamento in ordine alla nomina del capo dello stato e di un terzo dei membri della Corte costituzionale e del Consiglio nazionale della magistratura.
Da un punto di vista storico, il parlamento cittadino esisteva già prima dell’affermarsi delle autonomie comunali (v. età dei comuni) e consisteva nell’adunanza plenaria dei cives (uomini liberi dipendenti dal governatore della città), divisi in milites (cavalieri) e pedites (pedoni). Assunse maggiore importanza, tuttavia, nei primi tempi del comune consolare, quando a esso spettavano le decisioni più gravi (mutamenti della costituzione o del territorio, tributi, stato di pace o di guerra). In seguito, il parlamento cittadino perse autorità e, quando dal comune si passò alla signoria, servì a dare un riconoscimento giuridico al potere del signore ed ebbe quindi una funzione puramente formale. Le grandi monarchie europee, invece, avevano tanto parlamenti generali (con competenza estesa a tutto il territorio statale), quanto parlamenti particolari o provinciali (con competenza limitata a una parte di esso). Da ricordare, tra gli altri, i parlamenti generali sabaudi (XIV secolo), le Cortes spagnole (fine XI secolo), il parlamento inglese (XIII secolo), gli Stati generali francesi (XIV secolo). Essi non si riunivano a tempo fisso ed ebbero autorità e funzioni variabili secondo il tempo e il luogo, soprattutto in relazione alla maggiore o minore potenza della monarchia. Tra le principali funzioni del parlamento vi furono comunque quella giudiziaria (a cui era connesso l’incarico di presentare al sovrano le lagnanze dei sudditi), quella legislativa (a cui si accompagnava l’incombenza di ricevere il giuramento del principe e di prestare in risposta il giuramento di obbedienza a nome dei sudditi) e, soprattutto, quella di decidere, in materia finanziaria, sui prestiti da concedere al re. Accanto a queste funzioni fondamentali bisogna anche ricordare l’intervento che il parlamento cercò di effettuare, direttamente o indirettamente, nella politica dei governi.
Con l’affermazione dell’assolutismo monarchico, il parlamento vide ridotto sempre più il suo potere: in Francia, gli Stati generali furono convocati nel 1614 per l’ultima volta prima della rivoluzione (v. rivoluzione francese); in Spagna, l’autorità delle Cortes venne spezzata con la repressione della rivolta dei comuneros (1522); dal XVI secolo gli stati piemontesi non si riunirono più, mentre quelli del viceregno spagnolo vennero convocati per l’ultima volta nel 1642. Unica eccezione l’Inghilterra, dove il parlamento rivendicò il diritto del suo controllo sull’autorità monarchica (Petition of rights del 1628) e divenne la guida della prima rivoluzione inglese.
Con la rivoluzione delle colonie inglesi dell’America del Nord (1776) e con la rivoluzione francese del 1789, infine, nacquero le assemblee il cui potere veniva fatto risalire al popolo, caratterizzazione destinata a informare tutti i regimi liberali (v. liberalismo) che si affermarono in Europa.