Poeta e scrittore italiano (Arezzo 1304 ‑ Arquà 1374).
Poeta e scrittore italiano (Arezzo 1304 ‑ Arquà 1374). Il padre era stato cacciato da Firenze per contrasti con i guelfi neri e, dopo una breve sosta ad Arezzo, la famiglia si trasferì a Incisa, poi a Pisa, infine ad Avignone, nei cui pressi Petrarca compì una parte dei suoi studi con Convenevole da Prato, prima di andare a studiare legge a Montpellier. Nel 1316 il padre volle che lasciasse Montpellier per Bologna, dove avrebbe dovuto concludere gli studi di diritto. Per Petrarca si trattò di un soggiorno dissipato e ozioso, ma decisivo per le sue attitudini poetiche (conobbe, tra gli altri, Cino da Pistoia). La Provenza fu per 25 anni, fino al 1353, la sua seconda patria; egli ne ammirava la tradizione poetica ancora viva e i panorami suggestivi. La sua indole, per un lato incline al sogno e alla fantasia, era anche volubile e incline ai piaceri, alle raffinatezze, agli onori, tanto che il poeta volle conseguire gli ordini minori per ottenere uffici nella sfera ecclesiastica.
Il Venerdì santo del 1327 Petrarca vide per la prima volta Laura nella chiesa avignonese di Santa Chiara, e fu una visione che pervase e ispirò la sua vita e la sua poesia. Ancora alla vigilia della morte, nel Trionfo dell’Eternità l’antica passione avrebbe ispirato il suo canto: «Amor mi die’ per lei sì lunga guerra / che la memoria ancora il cor accenna». Poco importa quale fosse la vera identità di questa donna, poiché alla trasposizione poetica giovano sia l’indeterminatezza sia l’esemplarità di una finzione che idealizzò in un nome, in un’immagine, il ritmo e il senso di una vita. Laura ha un’importanza preminente nei versi in volgare, che pure sono dedicati a una varietà di temi e toccano le corde di tutti i sentimenti.
Petrarca ebbe numerose amicizie anche tra personaggi potenti, che gli permisero diversi viaggi in Fiandra e in Germania, durante i quale acquistò e studiò manoscritti antichi. A Liegi scoprì la ciceroniana Pro Archia, uno dei suoi primi successi di erudito. Tra il 1336 e il 1337 rivide l’Italia, passando a Roma, e si ritirò a Valchiusa. Cominciò a dedicarsi alle letture sacre, e nel 1341 ricevette l’incoronazione poetica in Campidoglio, quindi tornò a viaggiare e nel 1342 rientrò in Provenza. In quegli anni fu spesso al centro di importanti situazioni diplomatiche, e proprio a quel periodo risale la formulazione utopistica di una restaurazione di Roma e di una Chiesa restituita all’ideale evangelico. Nel corso di successivi viaggi in Italia Petrarca scoprì le epistole ciceroniane Ad Atticum, Ad Brutum, Ad Quintum fratrem. Nel 1348 fu nominato arcidiacono e il 19 maggio di quell’anno ebbe notizia della morte di Laura, avvenuta il 6 aprile. Successivamente, a Firenze, incontrò Boccaccio, dal quale l’anno dopo ricevette l’offerta di un ampio risarcimento per le persecuzioni subite dal padre. Nel 1353 accettò un impiego dall’arcivescovo e signore di Milano, Giovanni Visconti. Seguirono anni di importanti incarichi, viaggi, dissidi tra coscienza personale e obblighi d’ufficio: andò a Praga, tra l’altro, e a Parigi. La peste del 1361 lo indusse a stabilirsi a Padova, poi a Venezia, dove passò al servizio della Serenissima. Qui cercò di ricomporre la propria famiglia chiamando a sé Francesca, la figlia naturale, il genero e il nipotino. In seguito visse periodi più o meno lunghi a Padova e a Pavia, ma il soggiorno prediletto divenne Arquà, sui colli Euganei. Intanto si dedicò a promuovere la pace in Italia. La morte lo colse allo scrittoio, dove aveva concluso il Trionfo dell’Eternità.
Umanista nel senso più vivo della parola, Petrarca considerò l’impegno letterario una ragione di vita e un’occasione di libertà: il letterato in lui non si sovrappone mai all’uomo, lo esprime e lo integra; egli è perfettamente immesso nella concretezza dei fatti e nella realtà dei sentimenti.
Nella vastissima mole dei suoi scritti bisogna distinguere quelli in versi, parte in volgare e parte in latino, da quelli in prosa, esclusivamente in latino. È in volgare la sua opera maggiore, nota come Canzoniere, in parte sopravvissuta autografa fino a noi sotto il titolo di Rerum vulgarium fragmenta, dal quale è anche derivato il diffuso titolo Rime sparse. La raccolta di poesie non ha carattere unitario ed è tradizionalmente divisa in due parti: In vita e In morte di Madonna Laura. L’ordine, anche se non cronologicamente rigoroso, le assicura una coerenza psicologica, una caratteristica diaristica; non tutti i componimenti sono di carattere amoroso (si pensi a Italia mia, Spirto gentil, Alla Vergine, che sigilla la raccolta sostituendo l’amore terreno con l’amore divino); ma protagonisti del Canzoniere sono Laura e il poeta stesso, che compie un processo di idealizzazione della donna amata su uno sfondo suggestivamente naturalistico. In volgare furono anche scritti I trionfi, poemetto in terzine pubblicato postumo e incompiuto, che riecheggia la Commedia dantesca: è l’opera più legata agli allegorismi tipici del medioevo. Il posto d’onore della poesia latina spetta all’incompiuta Africa, in 9 libri, anch’essa pubblicata postuma, nel 1395, ma nota in parte perché un saggio ne fu presentato a Roberto d’Angiò, nel 1341. Meno felici sono le 12 egloghe del Bucolicum carmen. Imponente raccolta di lettere sono le 66 Epistulae Metricae, che mostrano la sua passione e la sua profonda conoscenza dell’opera di Cicerone e Seneca, svelando al contempo un’anima delicata e complessa, propensa all’autoconfessione e all’introspezione. Forte è la componente lirico‑autobiografica e sempre presente il tema etico‑religioso anche nelle operette Secretum (1342‑1343), De vita solitaria (1346‑1356) e De otio religioso (1347‑1357), improntate al modello di sant’Agostino e di altri illustri padri della Chiesa. Sono caratterizzate da un umanesimo formale l’Itinerarium syriacum, il De remediis utriusque fortunae, le Invectivae e il trattatello De sui ipsius et multorum ignorantia.