Nel 1526 Pontormo ottenne l’incarico di decorare una cappella per la famiglia Capponi…
Nel 1526 Pontormo ottenne l’incarico di decorare una cappella per la famiglia Capponi nella chiesa di Santa Felicita. Egli vi dipinse, tra il 1526 e il 1528, un’Annunciazione, la pala con la Deposizione e i tondi con gli Evangelisti, realizzati in collaborazione con il suo discepolo Bronzino.
Collocazione storica e committenza
Il 1512 aveva segnato per Firenze la caduta della repubblica del Soderini e il ritorno trionfale dei Medici, la cui fortuna verrà poco più tardi (1513) sottolineata dall’ascesa al soglio pontificio di Giovanni de’ Medici (figlio di Lorenzo il Magnifico) con il nome di Leone X. Sotto questa famiglia si costituì a Firenze un governo autoritario e assoluto durante il quale, tuttavia, si era andata affermando un’intensa attività politica e culturale che consentì di avviare molte opere pubbliche e private. Il Pontormo stesso ottenne molti incarichi; in quegli stessi anni anche Michelangelo stava realizzando un grosso lavoro: il complesso della cappella funeraria dei Medici nella sagrestia nuova di San Lorenzo sull’altra sponda dell’Arno, per la quale creava sculture come: la Notte, il Giorno, l’Aurora, il Crepuscolo.
Mentre Pontormo porta a termine i lavori della cappella Capponi, gravissimi avvenimenti scuotono il precario equilibrio politico-militare italiano: il sacco di Roma (1527), perpetrato dai lanzichenecchi dell’imperatore Carlo V d’Asburgo, e la breve illusione repubblicana di Firenze.
Storia esplicita e personaggi
Nell’ambito della decorazione della cappella, Pontormo dipinge questa pala d’altare: si tratta di una deposizione di Cristo dalla croce, la cui impostazione compositiva si differenzia molto dalla iconografia tradizionale e anche dalle future interpretazioni figurative.
La composizione riempie quasi completamente lo spazio del quadro, un rettangolo che termina con un arco; quasi nessuno spazio è lasciato per lo sfondo.
I personaggi sono molti e lo spazio è affollato; il personaggio con il copricapo che compare all’estrema destra potrebbe essere un ritratto dell’autore.
Tra i disegni lasciatici dal Pontormo esiste uno studio per il san Giovanni di questa pala. L’annotazione è interessante per illustrare lo studio necessario alla realizzazione di quest’opera e serve a mettere in luce l’importanza che il Pontormo assegnava al disegno, elemento che lo ricollega ai modi e al metodo michelangioleschi. Per il Pontormo, tuttavia, il disegno assume un significato diverso di ansiosa ricerca e di modestia sperimentale. Lo studio dei molti disegni che questo artista ci ha lasciati ci prova che nella grafica egli si ispirava solo parzialmente alla natura, tutto teso a superarla.
L’espressione dei personaggi di questa pala non è disperata o tragica, ma attonita, quasi di sospensione del dolore. Alcuni di essi hanno gli occhi chiusi (Cristo) o socchiusi (la Madonna), altri spalancati in uno sguardo volto lontano, pieno di smarrimento. Si nota un’affinità con lo sguardo di alcuni personaggi dipinti nella volta della cappella Sistina (Michelangelo) e in particolare nella fascia con gli antenati di Cristo, ossia coloro che non hanno ancora conosciuto la grazia della rivelazione.
Composizione
Come abbiamo visto, i personaggi sono molti e tutti serrati in una massa unica nel cui cuore sono il Cristo morto e la madre dolente avvolta nel suo ampio manto.
Alcuni studiosi parlano di una composizione a grappolo che risulta come sospesa. La massa, quasi senza supporto, ha un andamento acrobatico e poggia a terra solo su sei punti, che sono quelli in cui poggiano le punte dei piedi dei tre personaggi in primo piano che accennano quasi a un passo di danza; unico altro appoggio a terra è costituito dal panneggio verde che si snoda sul terreno.
Per Pontormo la cornice architettonica e naturalistica ha, del resto, poca importanza: nelle sue composizioni è quasi sempre appena accennata, non descritta o, come in questo caso, addirittura inesistente. L’unico riferimento al paesaggio è la nuvoletta sulla sinistra.
L’impalcatura prospettica è formata da corpi umani accatastati l’uno sull’altro senza supporto; la figurazione è incombente con il gruppo di figure in primo piano; la scansione dei piani prospettici anziché in profondità si svolge in altezza, il che determina una sequenza che produce tensione verso l’alto. La composizione si regge quindi sull’equilibrio delle varie figure che non è più un equilibrio reale, scandito da uno spazio vero, ma un equilibrio tutto giocato sulla posizione nello spazio del quadro (uno spazio quindi creato, fittizio), dalla posizione e configurazione delle forme (i personaggi) e dai loro rapporti di attrazione e repulsione. Questi generano tensione e quindi dramma.
Le linee compositive e di collegamento delle varie figure che si possono tracciare sono prevalentemente curve; la parte significativa ed espressiva della composizione si svolge entro il cerchio determinato dal completamento dell’arco della cornice. Gli assi sono inclinati rispetto all’asse centrale verticale.
Nelle singole figure si ritrova la maestà e la classicità delle figure michelangiolesche: quelle della volta Sistina, che Pontormo aveva senz’altro visto durante uno dei suoi viaggi a Roma, e le sculture della cappella in San Lorenzo; esse sono, tuttavia, avvolte in un’atmosfera più astratta: la monumentalità dei corpi diventa leggerezza aerea. Le linee che contornano i personaggi sono prevalentemente curve: essi risultano avviluppati in morbidi panneggi e nodi che la linea descrive con grande abilità.
Sotto le vesti e i veli fluttuanti quasi si percepisce l’inconsistenza dei corpi; questo fatto si ricollega all’astrazione della composizione e crea un clima tragico, ma irreale. Il dramma quindi non è descritto dagli atteggiamenti e sguardi delle figure, ma da aspetti puramente formali: linee, forme, composizione di forme e, come vedremo, colori (strutture del linguaggio visuale).
Il colore e la luce
Anche i toni dei colori contribuiscono a determinare una spinta verso l’alto poiché sono utilizzati in una scala crescente dalla base, dove compaiono colori più tenui, alla sommità della composizione, dove i colori sono lievemente più intensi. Ma è la gamma incredibile, tutta astratta, che colpisce l’osservatore, come sostiene il grande storico dell’arte del Novecento Giuliano Briganti: «Colori chiarissimi, colori di erba spremuta e di succhi di fiori primaverili, pervinche, rose, violette, giallo di polline, verde di chiari steli». Non c’è chiaroscuro, le ombre sono descritte con il tono più scuro del colore in gioco. Dopo il restauro e la pulitura della volta della cappella Sistina, si è compreso che questi colori sgargianti non sono una stravaganza del pittore, dal momento che Michelangelo li aveva già utilizzati.
Se si prendono in esame solo le macchie di colore, prescindendo dalle figure e dalla loro identificazione come personaggi, si arriva a un disegno astratto in cui si possono apprezzare le contrapposizioni dei colori complementari: i verdi ai rosa e ai rossi e si legano i gialli delle capigliature ai rosa carne dei corpi e dei volti e ai beige. La luce, chiara, lunare, proveniente da destra, illumina tutta la composizione e tutte le figure in modo uniforme.
Messaggio implicito
La composizione con le sue tonalità cromatiche appare come una visione di pura fantasia senza contatti con la realtà; i personaggi assolutamente irreali sembra siano trasportati e trasportino il Cristo in una nuvola; gli elementi della scena non servono tanto alla descrizione del tema della deposizione del Cristo, quanto a creare una immagine sul tema con un forte riferimento musicale.
Iacopo Carrucci (detto Pontormo)
Iacopo Carrucci nasce a Pontorme (Empoli) nel 1494 da Bartolomeo di Iacopo di Martino Carucci (pittore fiorentino) e da Alessandra di Pasquale di Zanobi di Filippo.
Dal 1499, morti il padre e poi la madre, viene allevato dalla nonna Brigida. Arriva nel 1508 a Firenze e viene, in seguito, avviato alla pittura; lavora nella bottega di Leonardo e poi di Piero di Cosimo. Nel 1512 passa alla bottega di Andrea del Sarto e nel 1513 inizia la sua attività autonoma.
Giorgio Vasari (1511-1574), artista, grande biografo di artisti e scrittore di cose d’arte dell’epoca, ce lo presenta come artista tormentato e continuamente dedito alla sperimentazione, che nella maturità viveva solo in una casa estremamente singolare. Egli è individuato dalla critica come manierista. Questa corrente, il manierismo, andava in quel periodo definendo i suoi caratteri e a questa definizione molto contribuì l’opera del Pontormo. In realtà, tutta l’attività di questo artista è tesa alla ricerca di uno stile che, pur tenendo in gran conto le realizzazioni dei grandi come Michelangelo, tuttavia, le superasse. Voleva con la sua arte arrivare a significati più profondi e a un valore ideale che potesse essere espresso nella composizione stessa del quadro, senza prendere troppo in prestito emozioni e motivi dalla natura e dalla storia.
Ma tutto ciò, l’evoluzione dello stile, il cambiamento del punto di vista umano e artistico, trova un’origine obiettiva nell’insoddisfazione per un modo di operare artistico che conteneva tante certezze, che erano anche certezze politiche, filosofiche, religiose, certezze che erano andate maturando e fissandosi in precise formule e modi espressivi per tutto il Quattrocento e il Cinquecento. La crisi nasce con il vacillare di queste certezze e da precise motivazioni storico-politiche. Dalla fine del XV alla metà del XVI secolo la Francia, la Spagna e la Germania, mentre all’interno andavano consolidando il potere assoluto, si misuravano combattendo sul suolo italiano per la supremazia politica nel nostro paese. La classe aristocratica italiana, e anche il papato, si stringevano intanto, con trattati e patti, intorno alle grandi monarchie o alle corti più potenti, come il granducato di Toscana di nuova formazione. Cambiano i modi di produzione, aumenta il capitale privato con una perdita di importanza delle corporazioni, cambia anche la posizione dell’artista nella società e l’individuo si sente sempre più solo, tagliato fuori dalle decisioni civili e da un sistema di solidarietà sociale.
Nella stessa Firenze si compie in quei decenni un rivolgimento politico che influisce su tutta la vita politica e culturale della città e artisti sensibili come Pontormo, seppur non arrivano a prendere parte attiva come Michelangelo, che difese praticamente «con le armi» la repubblica fiorentina, purtuttavia sentono l’influsso di questi avvenimenti che si manifesta nell’irrequietezza e nella necessità di interpretare nelle loro opere queste nuove incertezze. Ma ben più profonda si manifesta la crisi spirituale che pervade il mondo cattolico: la crisi religiosa che finisce per rompere l’unità tra i cristiani e pone a tutte le coscienze gravi dubbi e incertezze.
Le prime opere del Pontormo sono influenzate dallo stile dei suoi maestri e dal clima intellettuale classicheggiante e umanistico, nonostante rivelino già un’impronta personale e assumano significati particolari.
Dipinge molti soggetti sacri e poi affreschi nella villa Medici di Poggio a Caiano con soggetti mitologici.
Nel 1523 scoppia la peste a Firenze e il Pontormo, per sfuggire al pericolo, si ritira nella certosa del Galluzzo in val d’Ema e lì dipinge cinque affreschi con la Storie della Passione. In questi dipinti si avverte più forte che mai la crisi stilistica e l’influenza nordica di Dürer, un artista tedesco le cui opere grafiche, con l’avvento della stampa, si andavano diffondendo rapidamente in Italia. Vi si trova, insomma, il definitivo abbandono dell’impostazione compositiva rinascimentale.
Dal 1526 al 1528 dipinge gli affreschi e la pala della cappella Capponi, dove tocca il momento più alto della sua produzione.
Dopo il 1546 lavora agli affreschi per il coro di San Lorenzo con scene del Giudizio, emulando Michelangelo che, all’incirca nello stesso periodo (1536-1541), aveva eseguito il suo Giudizio universale nella cappella Sistina a Roma. Il lavoro prosegue fino alla sua morte e rimane incompiuto. L’affresco fu molto criticato dai suoi contemporanei e dai posteri, che lo trovarono lugubre e melanconico. Nel 1738 fu scialbato (ricoperto di calce) e così, per giudicarlo, dobbiamo riferirci ai molti disegni che l’autore ha lasciato e da questi dedurre il tormento dell’artista e la problematicità (soprattutto iconografica) dell’opera.
Ci rimane un intenso diario di quest’ultimo periodo, attraverso le cui pagine viene confermato il carattere piuttosto stravagante dell’artista. Egli annota solo notizie tecniche sul suo lavoro, sulla sua vita professionale, sul cibo. Muore nel 1557 ed è sepolto nel chiostro della Santissima Annunziata.
Oltre a lasciarci opere di altissimo valore pittorico, attraverso il superamento e in qualche modo lo sconvolgimento dell’arte classica Pontormo diede una spinta dinamica agli sviluppi dell’arte italiana.
Manierismo
Termine adottato dai critici in senso vagamente dispregiativo verso la fine del XVIII secolo; ma usato già dal Vasari. La parola significa letteralmente dipingere, scolpire o, comunque, operare «alla maniera di»; e la maniera era in quel tempo la maniera dei massimi autori dell’epoca: Leonardo, Raffaello, Michelangelo.
Il culmine massimo dell’arte era stato raggiunto, secondo Vasari, dalle opere dei grandi, appunto Leonardo, Raffaello, Michelangelo.
Gli artisti che lavorarono dopo e a contatto con questi grandi cominciarono a copiare il loro modo di riprodurre la natura piuttosto che la natura stessa e, per questo, furono molto criticati dalle generazioni successive. Si instaurò un nuovo modo di operare. Si cominciò, allora, a comporre le opere secondo una logica compositiva interna all’opera stessa. Il che risponde quindi a una operazione di organizzazione in forme concrete di un’idea dell’artista piuttosto che alla ricerca di un rapporto diretto con la realtà oggettiva e con la storia. Si sposta l’interesse dall’oggetto, ad esempio il racconto di un episodio storico o la storia sacra (come la deposizione di Cristo), al concetto che di questa storia si fa l’artista o alla ricerca compositiva di una certa organizzazione delle forme in un dato riquadro o alla sperimentazione di alcuni accostamenti cromatici. Questo è un modo di operare piuttosto moderno. In tutto ciò lo spazio fisico in cui la scena si svolge non ha più grande importanza. La rappresentazione dello spazio, invece, era stata una delle conquiste ed elemento centrale delle composizioni rinascimentali e continuerà a esserlo, in modi molto più complessi, in periodo barocco, e si era espressa e si esprimerà con la descrizione di ambienti architettonici e di paesaggi molto ben definiti (opere di Leonardo, Raffaello ecc.). Gli artisti rinascimentali avevano imparato a dominare lo spazio con lo strumento della prospettiva e a dimensionarlo con l’uso degli ordini architettonici. Si otteneva l’equilibrio delle forme mediante una composizione, spesso iscritta in una struttura piramidale, perfettamente simmetrica rispetto a un asse centrale (Madonne di Raffaello) e questo riconfermava quel senso di maestà, di grande dignità alle figure, ma dava anche la misura della serenità dell’uomo che le creava e le commissionava, fornito di alcune certezze ideologiche e religiose. Il manierismo pone in crisi il principio prospettico rinascimentale. Alla statica monumentalità si contrappone il libero movimento nello spazio, il liberarsi dell’invenzione. Alle certezze logicamente controllabili di una realtà razionalmente descritta e visibile da tutte le angolazioni e in ogni sua parte, si contrappone il valore della poesia che può essere irreale, fantastica. Il manierismo così si configura come uno sviluppo in senso individualista di tutte le premesse insite nel periodo rinascimentale.
Glossario
Fittizio. Oggetto o aspetto o ambiente descritto che non corrisponde alla realtà, per cui risulta immaginario, inconsistente.
Iconografia. Studio dell’immagine per descriverla e classificarla in base alle sue caratteristiche. Si può così identificare l’immagine come documento storico e da questa anche risalire al tipo di cultura di un popolo o di un periodo storico, in sostanza della civiltà che lo ha prodotto.