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Rapsodia

Nel corso dei secoli il termine ha avuto significati diversi…

Nel corso dei secoli il termine ha avuto significati diversi. Nell’antica cultura greca si riferiva all’intonazione melodica di brani tratti dai poemi omerici (v. Iliade e Odissea) secondo formule pienamente libere espresse dai cantori nomadi (aedi). In tempi assai più recenti, ossia nel Settecento e nell’Ottocento, rapsodia significò sempre un lavoro vocale dalle peculiarità essenzialmente epiche e quasi sempre improvvisato e senza alcun senso unitario.
Tra gli esempi più noti citiamo le MusiKalische Rhapsodien (1786) di Ch. F.D. Schubart, l’Harzreise im Winter di Goethe che servì da testo a un’opera per voce e pianoforte (1792) di J.Fr. Reichardt, infine la Rhapsodie per contralto, coro maschile e orchestra, op. 53 (1870) di J. Brahms. Dal XIX secolo la rapsodia è invece una composizione strettamente strumentale scritta nella generica forma della fantasia o anche basata sopra uno o più motivi folcloristici, e quindi di netta ispirazione popolare o epica e talvolta voluta secondo formule tecniche piuttosto difficili, tali da porre in risalto le virtù acrobatiche dell’esecutore.
Il primo lavoro strumentale con tale titolo (per pianoforte) risale al 1802 ed è firmato da W.R. conte di Gallenberg. Seguirono con grande successo le rapsodie per pianoforte dei boemi V.J. Tomásek e J.V.Vorisek; ma si sarebbero dovuti attendere Liszt, Brahms, Dvorák, Janácek, Glazunov, Chabrier, Lalo, Enescu, Ravel, Gershwin, Bartók e Debussy per completare il ciclo storico della rapsodia.