Edificio eretto a una divinità o comunque per adempiervi atti di culto, specie l’offerta di sacrifici.
Edificio eretto a una divinità o comunque per adempiervi atti di culto, specie l’offerta di sacrifici. Era questa soprattutto la funzione dei templi in Grecia e a Roma. Non è tuttavia da confondersi con ogni luogo sacro o di culto o di sacrificio. Il sacro e il profano hanno costituito i due poli della vita morale e materiale dell’uomo fin dai tempi preistorici.
Luoghi di culto stabili, con caratteri architettonici (v. architettura) tali da poter essere chiamati templi, non si trovano in tutte le civiltà antiche: in quella micenea si avevano luoghi sacri naturali o cappelle nei palazzi, in Cina e in India il culto si svolgeva all’aperto: il tempio («stupa», derivato dal tumulo sepolcrale) sorge solo con il buddismo. In Assiria (v. assiri) e Babilonia (v. babilonesi) il tempio era un vero palazzo, con cortile, celle per il culto, ambienti per i sacerdoti.
In Mesopotamia, oltre a questo tipo abbiamo la torre templare, ziqqurat, costruzione piramidale a piani sovrapposti, con celle di culto ai piedi e alla sommità. Anche in Egitto (v. egizi) il tempio è simile a un palazzo, con zone private e di rappresentanza, e una successione di numerosi ambienti: portale, o pilone, cortile, sala ipostila (elementi che possono essere ripetuti più volte) e vestibolo con le celle.
In Palestina, a Gerusalemme, sorse per opera di Salomone l’unico tempio della religione ebraica (v. ebraismo) (forse rielaborazione fenicia – v. fenici – di modelli egizi), caratterizzato dal «santo dei santi», cella in cui si conservava l’arca. Ma solo in Grecia il tempio si differenzia nettamente dal palazzo, assumendo caratteristiche architettoniche proprie: tuttavia anche qui l’origine è dal mègaron (modello fittile dell’Heràion di Argo, pianta del Mègaron B di Apollo a Thermos), da cui si svilupperanno il tipo in antis e il prostilo.
Il tempio con atrio anulare di colonne (peristasi) nacque probabilmente ad Argo e Corinto nel VII secolo a.C.: in origine era un edificio ligneo, con tetto a due spioventi, ma già regolato dal canone dell’ordine dorico (v. ordine architettonico), come i successivi edifici di marmo.
Il tempio di questo tipo (l’Heràion di Olimpia) è un periptero con cella, pronao e opistodomo: la colonna è scanalata, senza base, con capitello liscio e rigonfio; sottili rapporti legano nucleo interno e colonnato esterno, fregio di metope e triglifi e i due frontoni simmetrici; sul tetto si hanno gronde e acroteri scolpiti e dipinti, fittili o marmorei. Il tempio ionico, sorto più tardi, ha proporzioni diverse, colonna con base e capitello a volute, fregio continuo. Elementi dorici e ionici si armonizzano nel Partenone.
Ancora posteriore è la colonna corinzia, che non corrisponde a un canone proprio. Il tempio classico non era concepito come spazio architettonico coordinato a spazi circostanti o al paesaggio (ciò si avrà solo con l’ellenismo): oggi lo si interpreta piuttosto come struttura plastica, con leggi di proporzione come un organismo vivente, quindi strettamente legata alla decorazione scolpita. A Roma si hanno templi di tipo classico o ellenistico, edifici su podio con vista frontale, o a pianta centrale.
In Etruria (v. etruschi) un tipo locale, noto da modellini e da pochi resti di fondazioni e descritto da Vitruvio, è il tempio tuscanico, con pianta quasi quadrata bipartita in lunghezza e tripartita in larghezza (tre celle, o cella, e ali, o colonne) su podio, con alzato di legno o mattoni, tetto basso e decorazione fittile (in terracotta) policroma, colonne simili alle doriche, ma lisce e con base. Di questo tipo è il tempio di Giove Capitolino a Roma (con tre celle).