Nella filosofia la concezione più antica considera il tempo come l’ordine misurabile del movimento.
Nella filosofia la concezione più antica considera il tempo come l’ordine misurabile del movimento.
Aristotele, nella Fisica, lo definisce «il numero del movimento secondo il prima e il dopo», definizione accolta da molti nella storia del pensiero e in particolare da Kant, che nella Critica della ragion pura opera la riduzione dell’ordine della successione all’ordine causale. Successivamente, Einstein ha riproposto la teoria kantiana della identità del tempo con la causalità. Ma vi è anche una concezione del tempo come intuizione del movimento (o divenire intuito), che si trova in Plotino (v. Platone), sant’Agostino e, con sfumature diverse, nell’idealismo assoluto.
Sant’Agostino, in particolare, esprime così questo modo di vedere: «Non ci sono, propriamente parlando, tre tempi, il passato, il presente e il futuro, ma soltanto tre presenti: il presente del passato, il presente del presente e il presente del futuro» (Confessioni). Il tempo, in altre parole, è la vita stessa dell’anima che si estende verso il passato o il futuro. Heidegger, invece, interpreta il tempo in termini di possibilità e di progettazione.
Secondo la fisica moderna, il tempo è strettamente legato al divenire della realtà e, quindi, all’adeguarsi delle nostre percezioni ai mutamenti che avvengono in essa; pertanto, se gli enti fisici non fossero soggetti a un divenire, non avrebbe più senso parlare di tempo, perché non sarebbe possibile localizzare un evento nel tempo stesso. L’essenza del tempo, dunque, è semplicemente la localizzazione di un evento rispetto a una particolare coordinata, che permette di stabilire se l’evento stesso ha luogo prima o dopo un altro, e di quanto.
Questa posizione della fisica moderna di fronte alla definizione del tempo è del tutto opposta a quella della fisica classica, posizione che risulta ben espressa dalla frase di Newton: «Il tempo assoluto, vero e matematico, senza relazione con nulla di esterno, scorre uniformemente, e si chiama “durata”; il tempo relativo è la misura desunta dal movimento di una parte qualunque di durata; tale è la misura delle ore, dei giorni ecc., di cui ci si suole servire in luogo del tempo vero».
Abbandonato quindi questo concetto di tempo assoluto, la fisica moderna si riferisce soltanto a intervalli di tempo, o «durate»; questa posizione presuppone, naturalmente, la possibilità di misurare un intervallo di tempo (inteso come distanza, sulla coordinata temporale, fra due eventi distinti), cioè di confrontare tale intervallo con un intervallo campione. Secondo la teoria della relatività di Einstein, la distanza temporale (al pari di quella spaziale) fra due eventi dipende dallo stato di quiete o di moto dell’osservatore. Per superare questa difficoltà, Einstein introdusse il concetto di «distanza cronotopica» fra due eventi, che tiene conto sia delle coordinate spaziali sia di quelle temporali. Tale distanza cronotopica è assoluta, cioè indipendente dallo stato dinamico dell’osservatore; ciò indusse Einstein a formulare il concetto di «spazio-tempo», o «cronotopo», nel quale spazio e tempo sono strettamente interdipendenti.
La psicologia ha analizzato in maniera particolare la distinzione tra il tempo in sé e la coscienza del tempo; quest’ultima dipende dal modo in cui il soggetto percepisce il tempo, nella sua triplice accezione di passato, presente e futuro. In psicoanalisi, invece, Freud considera il tempo parte del processo secondario, che non è presente nel processo primario.