Filosofo e teologo italiano (Roccasecca 1225 o 1226 – Fossanova 1274).
Filosofo e teologo italiano (Roccasecca 1225 o 1226 – Fossanova 1274).
Formatosi nel monastero benedettino di Montecassino e nell’Università di Napoli, nel 1243 entrò nell’ordine domenicano e fu mandato prima a Colonia, alla scuola di Alberto Magno, e poi a Parigi, dove insegnò a partire dal 1257. Dopo una vita interamente dedicata allo studio e alla contemplazione, morì nell’abbazia di Fossanova durante un viaggio intrapreso per recarsi al concilio di Lione. Canonizzato da Giovanni XXII nel 1323, fu dichiarato «dottore della Chiesa» da Pio V (1567).
Le sue opere spaziano dalla teologia alla filosofia naturale, ai commenti alle Sentenze e alle opere di Aristotele. Il merito principale di Tommaso è di aver attuato una revisione del pensiero aristotelico in modo da creare una sintesi armonica tra la sapienza antica e la saggezza cristiana (v. cristianesimo). Tommaso apporta anzitutto un contributo decisivo alla soluzione del problema del rapporto tra ragione e fede, che egli concepisce distinte, ciascuna autonoma nel proprio campo, rispettivamente quello della verità naturale e della verità soprannaturale. Ma secondo lui, distinzione non significa opposizione: quando vi è opposizione fra fede e filosofia, infatti, è la filosofia che deve rivedere le sue posizioni, poiché gli uomini possono sbagliare nella ricerca della verità, ma la religione, che è ispirata da Dio, non può sostenere il falso. Inoltre, tra fede e ragione vi è collaborazione, nel senso che la ragione può provare l’esistenza di Dio, altrimenti non avrebbe senso per l’uomo accogliere la rivelazione.
La ragione, inoltre, chiarisce il contenuto della rivelazione, mostrando la non contraddittorietà del mistero e sciogliendo le obiezioni contro la rivelazione. Vi sono, infine, delle verità cosiddette «miste», provate dalla ragione e accettate per fede, come l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima.
Per quanto concerne la metafisica, Tommaso accetta da Aristotele la dottrina della materia e della forma, ma approfondisce la teoria dell’essenza e dell’esistenza. L’essenza comprende tutto ciò che è espresso nella definizione di una cosa e da essa si distingue l’esistenza: si può, per esempio, intendere che cosa sia l’uomo senza sapere se l’uomo esista. Ora, secondo Tommaso, «si ha un triplice modo d’avere l’essenza nelle sostanze. V’è infatti qualche cosa, quale Dio, la cui essenza è il suo essere; si trovano perciò dei filosofi che dicono che Dio non ha quiddità o essenza, perché la sua essenza non è altro che il suo essere.
In un secondo modo si trova l’essenza nelle sostanze create intellettive nelle quali l’essere si distingue dall’essenza, benché l’essenza sia senza materia. Perciò il loro essere non è assoluto, ma ricevuto, e perciò limitato e finito secondo la capacità della natura che lo riceve, ma la loro natura o quiddità è assoluta perché non ricevuta in una materia. […] Quindi in tali sostanze non si trova una moltitudine di individui della stessa specie, come s’è detto; eccetto nell’anima umana a motivo del corpo in cui è ricevuta. […] In terzo modo si trova l’essenza nelle sostanze composte di materia e di forma, nelle quali l’essere è ricevuto e finito, perché esse lo hanno da un altro, e anche la natura o quiddità è ricevuta in una materia designata. Sono perciò finite superiormente e inferiormente, e in esse, a motivo della divisione della materia designata, è possibile una molteplicità di individui in una stessa specie» (Dell’ente e dell’essenza).
Dunque nelle cose finite l’essenza è in potenza all’essere e l’essere, che è ciò che di più perfetto vi è in esse, è ricevuto e partecipato da Dio. È qui che Tommaso supera Aristotele e accoglie le istanze legittime del platonismo (v. Platone). L’essere non si trova in maniera identica, in Dio e nelle creature, ma in maniera analoga. Per questa analogicità dell’essere possiamo applicare a Dio le perfezioni pure che riscontriamo nelle creature, ma stando attenti a negare i limiti che tali perfezioni hanno nelle creature e sottolineando che esse si trovano in Dio in modo eminente, perfettissimo. Dunque, per Tommaso Dio crea il mondo dal nulla comunicandogli l’essere, nell’essere lo conserva e lo dirige verso il fine per cui l’ha creato (provvidenza). Per quanto riguarda le prove dell’esistenza di Dio, Tommaso respinge quella di sant’Anselmo e ne formula cinque che si fondano sulla finitudine del mondo creato. La prima parte dal movimento, e conclude all’esistenza di un motore immobile; la seconda parte dalla causalità e conclude a una causa incausata; la terza parte dal contingente e conclude all’essere necessario; la quarta parte dalle perfezioni finite per concludere alla perfezione infinita; la quinta si fonda sull’ordine e sulla finalità dell’universo e conclude al suo ordinatore.
Tommaso respinge invece la teoria averroistica dell’intelletto agente unico. Ogni uomo ha coscienza di intendere, quindi vi è un intelletto agente per ogni uomo. L’anima umana è la forma sostanziale del corpo ed è unica, non vi sono più anime nell’uomo, altrimenti non si salverebbe l’unità del suo essere. L’anima intellettiva per la sua perfezione può svolgere la funzione di quella sensitiva e vegetativa. Sebbene unita al corpo, essa è immortale: infatti conosce l’universale che è indipendente dalle leggi dello spazio e del tempo, è indipendente dalla materia e può perciò continuare a esistere anche quando il corpo perisce. Né Dio può distruggerla se l’ha creata immateriale e quindi immortale, perché altrimenti Egli agirebbe in modo contraddittorio.
Tommaso, inoltre, approfondisce il problema della libertà umana, che è solo esenzione da necessità, pura spontaneità, ma autodeterminazione. La morale (v. etica) secondo Tommaso si fonda su una norma obbligatoria che è insieme la norma intrinseca del nostro essere e l’espressione della volontà divina. Vi è una legge eterna che prescrive l’ordine della creazione. La legge naturale è questo stesso ordine attuato nelle nature singole. La legge positiva deve chiarire, mai contraddire quella naturale. Per lui è legittima qualunque forma di governo, purché adatta al bene della comunità. Tra stato e Chiesa, Tommaso stabilisce che ciascuna istituzione è autonoma nel proprio campo. Ma non vi deve essere contrasto tra loro, perché ambedue tendono al bene vero. Tuttavia, la Chiesa è superiore allo stato perché il fine che persegue è più alto, ossia la salvezza dell’anima.
Delle opere di Tommaso vanno ricordate le due grandi Somme (Somma teologica e Somma contro i gentili); i commenti (ad Aristotele, a Boezio, allo Pseudo-Dionigi), gli opuscoli (Dell’ente e dell’essenza, Dell’unità dell’intelletto contro gli averroisti, Del governo dei principi) e le Questiones (Della verità, Del potere, Dell’anima).
Punto di raccordo imprescindibile tra la cristianità e la filosofia, Tommaso è uno dei rappresentanti principali della scolastica, vale a dire della filosofia cristiana medievale (v. medioevo) insegnata nelle scuole conventuali. La scolastica si sviluppò pienamente dall’XI al XIV secolo ed ebbe come suoi principi basilari il riconoscimento del soprannaturale, la trascendenza divina, la creazione del mondo, la libertà e l’immortalità dello spirito umano. Il problema centrale della scolastica fu l’intelligibilità del dato rivelato, problema per cui furono elaborate due soluzioni: razionalistica e mistica. La prima valorizzò il ruolo della ragione e della conoscenza intellettuale nel raggiungimento della verità e di Dio. La seconda esaltò l’importanza della volontà e del desiderio di avvicinarsi a Dio tramite l’intuizione. La corrente razionalistica si rifece soprattutto ad Aristotele e ai suoi scritti logici, mentre quella mistica si alimentò soprattutto con gli scritti di sant’Agostino e dei neoplatonici.
Fino al secolo XIII la scolastica si occupò soprattutto di teologia. Le opere principali di questo periodo furono Della divisione della natura di Scoto Eriugena, il Proslogion e il Monologion di sant’Anselmo. Solo nel secolo XII, con la traduzione dei Topici di Aristotele, si diede al termine «scolastica» il senso di «argomentazione probabile». Pertanto, nel primo periodo della scolastica, filosofia equivalse a logica, perché erano conosciute solo le opere logiche di Aristotele, Porfirio e Boezio. Non a caso il problema attorno a cui si accese la discussione nell’XI secolo fu quello degli universali. Le soluzioni del problema oscillarono tra due posizioni estreme: quella di Guglielmo di Champeaux (realismo radicale) e quella di Giovanni Roscellino (nominalismo), per il quale l’universale è un puro nome. Per comprendere pienamente lo sviluppo della scolastica nel XII secolo occorre tener presente che in questo periodo si venne a conoscenza, oltre che del Timeo di Platone, anche del Fedone e del Menone. La prima metà del secolo fu dominata dalla figura di Abelardo, sottile dialettico, cui si contrappose quella di san Bernardo, mistico vigoroso. La scuola di Chartres svolse un compito equilibratore tra le due correnti, anche se non arrivò a una sintesi sicura, che sarà operata solo nel secolo seguente. Questi pensatori si interessarono di scienze naturali, ma anche di filosofia, amarono la disputa teologica, ma si nutrirono di cultura classica. Amarono il vero, ma anche il bello, che cercarono di esprimere nello stile delle loro opere; ammirarono in Platone il filosofo, ma anche l’artista. Il maggiore rappresentante di questa corrente fu Giovanni di Salisbury.
La scolastica, tuttavia, raggiunse il suo apogeo nel XIII secolo. E ciò fu frutto di vari fattori: la fondazione delle università, la partecipazione di francescani e domenicani alla vita culturale e, soprattutto, la scoperta di Aristotele, del quale, dalla metà del secolo, incominciarono a essere conosciute anche le opere fisiche, metafisiche ed etiche (v. etica). Aristotele rappresentò un sistema filosofico indipendente dalla rivelazione, anzi talvolta in contrasto con essa. Di qui la cautela con cui tanti lo avvicinarono e anche le condanne della Chiesa. Giovò all’assimilazione di Aristotele la mediazione di Avicenna che, con elementi neoplatonici, colmò lacune del pensiero aristotelico soprattutto per quanto riguarda la natura di Dio, l’origine delle cose e l’immortalità dell’anima. Un’altra filosofia che fuse elementi aristotelici e neoplatonici fu quella di Avicebron, che influì su alcuni pensatori specie per la dottrina della composizione di materia e forma in tutte le creature, anche spirituali. Intorno al 1230 incominciarono a essere noti ai latini anche i commenti di Averroè alle opere di Aristotele, in cui si avvertì meno l’influsso del neoplatonismo. Nacque così la disputa intorno all’unità dell’intelletto possibile (sull’esistenza, cioè, di un unico intelletto universale, che tende a unificarsi con Dio e che rappresenta la necessaria partecipazione dell’uomo al divino nell’atto del conoscere). Combatterono contro questa dottrina sant’Alberto Magno, san Bonaventura e san Tommaso; ma alcuni la accettarono (averroismo latino, che ebbe in Sigieri di Brabante il suo maggiore rappresentante). Tale corrente venne condannata, ma fu ripresa nel secolo XIV. Le figure preminenti del secolo XIII furono san Bonaventura, san Tommaso, Duns Scoto. Merito principale di san Tommaso, in particolare, fu l’aver operato un’elaborazione originale dell’aristotelismo, attuando una sintesi nuova fra pensiero antico e dottrina cristiana; san Bonaventura, invece, si ispirò soprattutto alla tradizione agostiniana, come del resto tutta la scuola francescana. Scoto, tra la fine del secolo XIII e l’inizio del secolo XIV, tentò infine una sintesi tra l’agostinismo e l’aristotelismo.
Nel XIV secolo la scolastica si interessò soprattutto di problemi concreti e si volse alla conoscenza della natura e della vita politica. La figura più notevole di questo periodo fu quella di Guglielmo di Occam. A Parigi e Oxford i maestri si interessarono al problema della caduta dei gravi, del moto dei proiettili, della possibilità del calcolo delle grandezze fisiche, preludendo alle ricerche di Galilei. L’interesse metafisico si affievolì e in campo speculativo (v. speculazione) si notò una mancanza di genialità, un abuso della dialettica e del principio di autorità.
Un rifiorire si ebbe nel XV secolo, quando Silvestro da Ferrara e Tommaso de Vio si dedicarono all’approfondimento del tomismo (vale a dire la corrente di pensiero che si ispira ai metodi, ai principi e alle dottrine filosofiche di Tommaso). Degna di nota è inoltre la scolastica spagnola del XVI secolo (con il ripensamento sistematico del tomismo operato da Francisco Suarez e con la trattazione del problema politico a opera di Francisco da Vitoria e Giovanni Mariana). La scolastica ebbe invece scarso influsso sulla vita culturale dei secoli XVII e XVIII, mentre nell’Ottocento sorse un movimento neoscolastico incoraggiato e promosso dall’enciclica Aeterni Patris di Leone XIII.