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Tragedia

La tragedia è un genere teatrale nato nell’Attica tra il VII e il VI secolo a.C. probabilmente in relazione a un rito sacrificale che…

La tragedia è un genere teatrale nato nell’Attica tra il VII e il VI secolo a.C. probabilmente in relazione a un rito sacrificale che si svolgeva nelle celebrazioni del dio Dioniso. Al contrario della commedia, la tragedia trattava temi seri con un tono altrettanto serio, parlava dei grandi miti (v. mitologia) religiosi e dei grandi eventi della storia greca, dei conflitti tra passioni contrapposte, e di solito si concludeva con la morte o la sconfitta del protagonista. Nei cinque atti in cui si svolgeva, gli incontri tra i personaggi si alternavano ai commenti del coro. I più grandi tragediografi della Grecia antica furono Eschilo, Sofocle ed Euripide (VI-V secolo a.C.).

Nel teatro romano la tragedia fu più che altro un esercizio letterario, e le opere erano destinate alla lettura più che alla rappresentazione. L’unico tragediografo latino di cui abbiamo notizia è Lucio Anneo Seneca, che fu preso a modello per il successivo teatro tragico, sia nel medioevo sia nel rinascimento, quando le unità di tempo, luogo e azione stabilita da Aristotele furono interpretate come regole da osservare scrupolosamente.

Tra XVI e XVII secolo, la tragedia di ispirazione classica ebbe un notevole sviluppo, ma non rispettò più la regola delle tre unità; è questa la forma della tragedia elisabettiana (v. Elisabetta I d’Inghilterra), nel cui ambito spicca il teatro tragico di William Shakespeare. In Italia ebbero maggiore diffusione altri generi teatrali, più rispondenti al gusto locale: il dramma pastorale (XVII secolo) e il melodramma; letterati e poeti come Metastasio si cimentarono nel genere tragico pensando alle melodie che avrebbero accompagnato le loro parole e producendo una letteratura più raffinata ed elegante che potente e tragica.

All’inizio del Settecento, si diffusero un gusto realistico e una maggiore attenzione alla verità quotidiana, cosicché la distinzione dei generi perse molto del suo significato e gli autori cercarono di rappresentare la realtà senza deformarla. Alla definizione di tragedia si sostituì quella di dramma, e si perse la netta distinzione tra commedia e tragedia. La tragedia fu praticata, però, da poeti e scrittori che composero opere per la sola lettura, dunque più liriche che teatrali: le tragedie di Alfieri e di Schiller sono ancora proponibili sul palcoscenico, ma risultano un mero esercizio letterario quelle di Shelley, Manzoni, Tennyson.

In seguito gli elementi della tragedia confluirono nel dramma borghese (Ibsen, Cechov, Strindberg, Pirandello), mentre sulla scorta delle riflessioni filosofiche di Nietzsche il musicista tedesco Wagner tentò di dar vita a una forma contemporanea di tragedia intesa come «opera d’arte totale», che coinvolgesse completamente lo spettatore in tutti i suoi sensi e le sue facoltà.

Nel Novecento si è tentato di superare la tragedia come genere a sé, sono sopravvissuti alcuni schemi del teatro tragico, ma sono stati usati come espedienti stilistici e retorici più che come strutture di un modo di intendere e fare il teatro, tale da problematizzare gli aspetti principali della vita individuale e sociale (D’Annunzio, Eliot).