La resa naturalistica del corpo umano durante l’antichità classica era un dato acquisito
La resa naturalistica del corpo umano durante l’antichità classica era un dato acquisito, pur se nella maggior parte dei casi veniva ottenuta con un approccio empirico da parte degli artisti, soprattutto degli scultori. Caduto l’Impero romano d’occidente nel V secolo, l’Europa e in particolare l’Italia vissero una profonda crisi di valori, tra cui anche quelli estetici; non furono risparmiate, naturalmente, tutte le forme di arte figurativa, da quella cosiddetta maggiore, con la pittura e la scultura in testa, a quella minore, come la miniatura o l’oreficeria.
La rappresentazione dell’uomo, che fino alla tarda età imperiale romana era una sorta di fiore all’occhiello dell’arte occidentale, divenne a partire dai secoli dell’alto medioevo difficoltosa, impacciata, iconica, insomma non realistica. Al senso delle corrette proporzioni, delle volumetrie solide, della simmetria, dell’inserimento verosimile delle figure all’interno di uno spazio tridimensionale, tutte caratteristiche proprie dell’arte greca e romana, si sostituì gradualmente – eccezion fatta forse per il periodo della cosiddetta rinascita carolingia – una raffigurazione simbolica e allusiva, che più che alla credibilità della rappresentazione mirava al significato nascosto dell’oggetto rappresentato, inteso come un riflesso della potenza e della bellezza della Chiesa, di Cristo e della Vergine, dei santi e dei martiri.
Un ritorno all’ordine, se così è lecito affermare, ha cominciato a farsi strada dalla seconda metà del XIII secolo, soprattutto grazie ad artisti toscani o di formazione toscana come gli scultori Nicola e Giovanni Pisano e Arnolfo di Cambio o come i pittori Giunta Pisano e Cimabue. Proprio a quest’ultimo si deve un concreto riavvicinamento ai canoni realistici della rappresentazione classica e un contestuale distacco dalle rigide strutture dell’arte bizantina: dalle immobili icone di produzione greca, che tanto avevano influenzato l’arte italiana durante tutto il corso del medioevo, si passò grazie a Cimabue e ai suoi seguaci, Giotto in testa, a un modo di costruire la figura umana di nuovo naturalistico. Un esempio su tutti è fornito dalla serie di drammatici crocifissi dipinti da Cimabue o scolpiti da Giovanni Pisano, immagini che prepararono la strada alla stagione del realismo quattrocentesco di Masaccio e di Donatello e che poi, con l’affinarsi del linguaggio artistico e con la riscoperta dell’antico in tutte le sue forme (anche grazie agli scavi archeologici, promossi con passione sin dal Quattrocento), portò alla visione antropocentrica del più grande artista di tutti i tempi, Michelangelo.
Pur animato da una sincera e intima religiosità, questi fece dell’uomo e della sua realistica rappresentazione il fulcro della propria produzione figurativa, riuscendo a mescolare, come solo un grande maestro è in grado di fare, divinità e umanità, sacro e profano, mondo celeste e mondo terreno.