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Estinzioni: la situazione italiana

Per quanto riguarda la storia delle estinzioni in Italia, la progressione è stata la seguente, almeno stando ai dati di cui disponiamo.

Per quanto riguarda la storia delle estinzioni in Italia, la progressione è stata la seguente, almeno stando ai dati di cui disponiamo.

Prima del Settecento le specie ufficialmente estinte in tutta Italia sono il castoro (scomparso all’inizio del Seicento), il pellicano, la cicogna, la spatola, l’ibis eremita, tutti animali cancellati dalla fauna italica, almeno come nidificanti, tra il XVII e il XVIII secolo.
Tra il XVIII e il XIX non si verificano, a quanto ne sappiamo, perdite di specie a livello nazionale, anche se molti animali scompaiono da vaste zone e i mammiferi vengono relegati in aree poco abitate e impervie.
È con l’Ottocento che comincia la frana; specialmente nella seconda metà del secolo XIX e nei primi anni del XX le specie si estinguono a un ritmo terrificante: possiamo dire che il passaggio tra l’Ottocento e il Novecento costituisca la «soluzione finale» per la lince (estinta nel 1918), l’avvoltoio degli agnelli o gipeto sulle Alpi (1913), il francolino (1869), la quaglia tridattila (1920), la gru (1920), il cervo sull’Appennino e sulle Alpi (1903), il camoscio d’Abruzzo sull’Appennino (tranne che nel Parco Nazionale d’Abruzzo) nel 1890, l’orso sulle Alpi (tranne il piccolo nucleo sul Trentino).

Dopo il 1950 il ritmo rallenta, anche per l’azione sempre più incisiva delle associazioni protezionistiche che in quegli anni fanno i primi passi; tuttavia, nella seconda metà del Novecento assistiamo alla scomparsa del falco pescatore come nidificante (1963), dell’aquila di mare come nidificante (verso il 1967) e del daino di Sardegna (1968).