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Fotografia

Procedimento ottico-chimico per fissare le immagini, su un supporto analogico o digitale.

Procedimento ottico-chimico per fissare le immagini, su un supporto analogico o digitale. La fotografia nel campo delle attività umane può assumere molteplici aspetti: nata come esperimento scientifico, è oggi, oltre che un divertimento, un efficace mezzo di lavoro dalle illimitate possibilità nell’industria, nella ricerca scientifica, nella medicina, nell’astronomia, nella fisica, nelle rilevazioni geografiche, nell’impiego bellico, nel giornalismo e nello sport; è infine un modernissimo mezzo di interpretazione artistica.

La fotografia analogica. Lo sviluppo tecnico ha portato molti cambiamenti nel modo di effettuare una fotografia. Anticamente un fotografo era costretto a portare con sé un piccolo ma completo laboratorio, per preparare le lastre da esporre e da sviluppare dopo la posa.
Oggi l’attrezzatura di un fotografo, sia esso dilettante o professionista, è ridotta al minimo: una macchina fotografica portatile e una ristretta serie di accessori; la luce non condiziona più la possibilità di scattare e ottenere una buona fotografia, potendosi disporre di sorgenti di luce artificiale: la posa a sua volta può essere dell’ordine di frazioni di centesimi di secondo. Si possono distinguere tre fasi nel processo di una fotografia: produzione della sostanza sensibile; posa; sviluppo e stampa dell’immagine prodotta.

Le sostanze sensibili sono composte di due parti: l’emulsione, sensibile alla luce e nella quale si forma l’immagine, e il supporto sul quale questa emulsione è distesa. L’emulsione fotografica è una sospensione di minutissimi cristalli di alogenuri d’argento, nella gelatina: tra questi sali, che sono sensibilissimi alla luce, quella che entra in massima parte nell’emulsione, è il bromuro, ottenuto sciogliendo a caldo la gelatina, in proporzioni idonee, in una soluzione di bromuro di potassio, cui viene aggiunta una piccola quantità di ioduro di potassio. A tale soluzione viene aggiunto poi nitrato d’argento, ottenendo quindi bromuro d’argento e, in piccola quantità, ioduro d’argento. Questo miscuglio una volta raffreddato e tagliato in piccolissime scaglie, costituisce l’emulsione negativa; a essa possono essere aggiunti altri componenti per facilitare la presa sul supporto, la sensibilità cromatica, o altre caratteristiche.

Il supporto deve essere di materiale atto a non alterare la formazione dell’immagine latente, né di quella definitiva dopo lo sviluppo. Sin dal nascere della fotografia, fino a pochi anni fa, il vetro è stato universalmente impiegato quale supporto, per le sue caratteristiche fisiche di indeformabilità e ancor oggi viene usato in alcuni processi sperimentali. Esso è impiegato in spessori da 0,9 a 1,3 mm, in vari formati secondo il tipo di macchina e il tipo di fotografia. A causa della sua fragilità, ingombro e peso, la lastra fotografica è stata vantaggiosamente sostituita dalla pellicola, lunga striscia fatta di acetato e nitrato di cellulosa, con aggiunta di sostanze plastificanti.

La seconda fase del procedimento fotografico, la posa, viene compiuta mediante la macchina fotografica ed è frutto di una tecnica specifica che spesso può raggiungere elevati valori artistici. La preparazione e lo scatto di una fotografia può essere il prodotto di un’azione istantanea, come avviene nelle manifestazioni sportive, nei resoconti giornalistici e bellici, ma può anche essere il prodotto di lunghe ricerche, di pazienti attese come è il caso della fotografia artistica e di quelle per ricerche scientifiche, fisiche e astronomiche.

La terza fase, lo sviluppo e la stampa di una fotografia, può essere divisa in due parti: processo negativo e processo positivo. Il primo, iniziato con la fabbricazione e l’impressione della sostanza sensibile, si conclude con lo sviluppo della pellicola o della lastra, cioè con la visualizzazione dell’immagine latente. Tale processo è detto «negativo» perché nell’immagine che si ottiene le zone chiare corrispondono a quelle oscure dell’immagine reale e viceversa.
Lo sviluppo ha come procedimenti complementari il fissaggio e il lavaggio della pellicola. Durante lo sviluppo l’emulsione sensibile, che è stata sottoposta a impressione alla luce e quindi ha subito quell’alterazione che dà luogo all’immagine latente, viene trattata con apposite sostanze dette «rivelatori» o «sviluppatori»; tale trattamento fa sì che l’argento degli alogenuri, colpito dalla luce, si separi dagli altri componenti, annerendo e formando dei chiari e degli scuri, che costituiscono l’immagine negativa.
Vengono usati quali agenti riducenti per formare lo sviluppo: metol, idrochinone, amidol, glicina, pirocatechina, pirohallolo e parafenilendiammina. Ognuno di questi prodotti ha proprie caratteristiche di sviluppo concernenti la velocità d’azione, la limpidezza di immagine, la gradazione dei toni, l’influenza della temperatura, la solubilità nell’acqua ecc. Per quanto riguarda la tecnica dello sviluppo, essa si basa sull’uso di apparecchi, nei quali immergere il materiale sensibile, e sul controllo dei valori di tempo e di temperatura che hanno rilevante influenza sui toni del negativo e che variano notevolmente a seconda del tipo del materiale sensibile e del composto usato nel bagno di sviluppo, oltre che naturalmente dei termini dell’esposizione. Allo sviluppo fa seguito il bagno di fissaggio che serve ad arrestare il procedimento di sviluppo; il fissatore è in genere un metabisolfito di potassio o un iposolfito di sodio. Se si aggiunge allume, il bagno, oltre che di fissaggio, diventa di indurimento, a evitare, specialmente in estate, rigonfiamenti della gelatina. La fase negativa si conclude con il lavaggio della pellicola nell’acqua.

Con il processo di stampa o di copia si compie l’ultima fase, cioè il procedimento positivo: esso consiste nel riportare su carta speciale l’immagine reale, partendo dal negativo. Esistono due tipi di processi di stampa: la stampa per proiezione e la stampa a contatto. La stampa a contatto viene realizzata mediante apparecchi detti «torchietti» o «bromografi», nei quali la carta sensibile viene posta a diretto contatto del negativo, in modo che la luce passando con varia intensità attraverso i chiari e scuri del negativo, impressiona di più o di meno la copia positiva. La luce può essere quella naturale (torchietti), o quella artificiale (bromografi).
La stampa per proiezione, pur basandosi su un analogo principio, sfrutta l’impiego di un apparecchio ottico detto «ingranditore», nel quale una sorgente di luce, attraverso un sistema di lenti, proietta l’immagine del negativo sulla carta da stampa; la differenza tra una stampa a contatto e una per proiezione è che nella prima vengono riprodotte le esatte dimensioni del negativo, mentre nella seconda, per mezzo del sistema di lenti, si può ingrandire a volontà l’immagine.

La fotografia digitale. Negli anni Ottanta la fotografia si evolve con l’introduzione delle macchine per la fotografia digitale. Queste utilizzano al posto della pellicola un Charge Coupled Device un circuito in grado di analizzare l’intensità luminosa e il colore delle immagini e di trasformarli in segnali elettrici, che possono essere registrati su un supporto magnetico. L’immagine registrata può essere rivista su un monitor, stampata attraverso l’uso di una stampante o spedita via cavo o via etere.

La fotografia digitale, malgrado fornisca immagini che non hanno la stessa definizione delle immagini fornite dalla fotografia tradizionale, ha avuto un uso larghissimo, perché permette la trasmissione immediata, i fotoreporter ad esempio possono spedire immediatamente le loro fotografie ai giornali, e ancora perché le immagini possono essere elaborate elettronicamente, permettendo una correzione delle figure fino a ottenere dei fotomontaggi perfetti anche da casa con dei semplici programmi; inoltre le fotografie in formato digitale possono essere archiviate in file senza dover ricorrere alla carta che, a lungo andare, occupa indubbiamente un certo volume. Tutto questo ha prodotto un notevole calo della richiesta della pellicola e della stampa di fotografie.