La riproduzione delle piante

In natura la riproduzione più diffusa è quella sessuale…

In natura la riproduzione più diffusa è quella sessuale, caratterizzata dal fatto che due cellule aploidi cioè che hanno un numero semplice di cromosomi e un solo gene per ogni carattere, dette gameti, si uniscono per dare una cellula diploide, lo zigote, che ha un numero doppio di cromosomi, presentando due varietà diverse di geni (alleli) per ogni carattere. Dalla divisione dello zigote derivano tutte le cellule dell’organismo, se esso è pluricellulare.

Mentre negli animali la fase aploide è limitata alla breve vita dei gameti, nelle piante è caratteristica un’alternanza di generazioni, con una fase aploide che termina con la fecondazione, e una fase diploide che invece si origina dalla fecondazione e termina con una riproduzione asessuale, per spore, da cui riparte la fase aploide. Il significato evolutivo di questo ciclo complesso, che è caratteristico di molte alghe, delle briofite e delle felci, è forse legato alla necessità di una riproduzione veloce (quella per spore) capace di assicurare la diffusione della specie.
Nel corso dell’evoluzione tuttavia si assiste alla progressiva riduzione della fase aploide a vantaggio della fase diploide. Infatti, mentre nelle alghe e nei muschi prevale nettamente il gametofito, dalle felci in poi si verifica una sempre maggiore predominanza dello sporofito, mentre la fase aploide è limitata a pochi tessuti all’interno dell’ovario, e ovviamente ai gameti. Perché nelle piante superiori la diploidia e la condizione più vantaggiosa? Ciò si spiega pensando alle mutazioni, cioè a quelle modificazioni casuali del materiale genetico, dovute a errori durante la replicazione del dna, o a rotture della doppia elica: in un individuo aploide una mutazione manifesta sempre i suoi effetti, che sono molto più frequentemente dannosi che utili, mentre in uno diploide le mutazioni svantaggiose sono di solito recessive, mascherate dal gene sano presente nell’altro cromosoma, e quindi la loro comparsa non determina la morte dell’individuo.