Le civiltà paleolitiche sono attestate da alcuni manufatti venuti alla luce piuttosto recentemente…
Le civiltà paleolitiche sono attestate da alcuni manufatti venuti alla luce piuttosto recentemente e riconducono allo stadio del paleolitico inferiore europeo occidentale. La più antica civiltà agricola è quella di Sesklo in Tessaglia, dove fu scoperto un villaggio con capanne rotonde e rettangolari e vasellame dipinto. Si tratta di comunità dedite a un’agricoltura cerealicola estensiva. Le forme del vasellame sono semplici e le asce levigate servivano per usi vari. Successivamente, questa civiltà si sviluppò: è stata ben studiata al villaggio di Dimini in Tessaglia. Qui le case erano in muratura a secco, il vasellame dipinto sembra imitare forme metalliche e si conosceva il metallo (rame e oro, 3000‑2300 a.C.). L’aspetto culturale di Dimini si protrae per lungo tempo e si propaga per tutta la penisola.
La discesa delle genti greche nel territorio della Grecia si fa risalire agli inizi del II millennio a.C., nel periodo archeologicamente identificato dalla frattura tra l’antico e il medio elladico. Difficile se non impossibile ricostruire la più antica dislocazione delle varie stirpi che si proseguirono poi in età storica negli ioni, eoli, achei, dori, ma la più recente disposizione dei grandi gruppi di dialetti greci può servire a farci comprendere a grandi linee i movimenti di popoli greci svoltisi lungo il II millennio. Verso la metà di questo, comunque, ci troviamo di fronte a una civiltà il cui aspetto è profondamente simile nelle varie parti della Grecia. Allora la Grecia era divisa in stati territoriali relativamente vasti e in forti contatti commerciali e culturali con l’Oriente.
La decadenza del mondo miceneo coincide con l’arrivo in Grecia di nuove ondate di immigrati greci, il cui ricordo sopravvive nelle varie tradizioni sulla «invasione dorica» e sul «ritorno degli eraclidi»; si trattò di un movimento scaglionato nel tempo, a partire più o meno dai secoli XIII e XII a.C., con episodi violenti, cui corrisponde un lento e progressivo trasformarsi della civiltà che noi troviamo testimoniato nei resti archeologici, in particolare nell’arte della ceramica.
Alla fine del millennio siamo nel cosiddetto medioevo greco, epoca di dispersione politica, di decadenza culturale (scompare l’uso dell’antica scrittura micenea), di restringimento degli orizzonti commerciali. Sembra che in tale epoca il paese fosse diviso in molti piccoli stati, retti da monarchie assistite da consigli di anziani: in quel periodo probabilmente si formano le strutture fondamentali della società greca; è questa l’epoca che si riflette, frammista a ricordi dell’antica città micenea, nei poemi di Omero.
Dai secoli VIII e VII inizia l’età arcaica della Grecia. L’organismo tipico della Grecia, la polis (città), comincia allora ad assumere caratteristiche urbanisticamente e politicamente più nette. Decadendo le monarchie, prevalgono aristocrazie nelle quali il governo comincia, sia pure nel ristretto nucleo della nobiltà, a caratterizzarsi come repubblicano.
Intanto, sotto la pressione di esigenze economiche nuove, si rafforzano le correnti di rapporti commerciali e culturali con l’Oriente e sorge il vasto e importantissimo fenomeno della colonizzazione, che nel giro di tre secoli (dall’VIII al VI) ricopre tutto il bacino del Mediterraneo, dal Mar Nero all’Africa, alla Sicilia, all’Italia, alla penisola iberica e alle coste meridionali della Francia, di fondachi e di centri greci. Nella madrepatria, il processo di formazione della polis si determina in modi vari, che vanno dallo stato territoriale (Attica, Laconia) a quello più strettamente cittadino; si formano, o meglio si consolidano e acquistano peso nuovo, leghe di popoli e città, riunite attorno a un santuario. Nel VI secolo a.C. la Grecia raggiunge la sua tipica fisionomia politico‑geografica. Ma nell’interno delle città ha inizio un nuovo processo di trasformazione politico‑costituzionale.
Le vecchie aristocrazie fondiarie devono fare i conti con la nuova ricchezza commerciale, mentre i ceti inferiori, contadini e artigiani, si agitano violentemente per ottenere diritti e poteri politici. In situazioni diverse maturano soluzioni diverse: grande diffusione della legislazione scritta e conseguente diminuzione dell’arbitrio dispotico delle oligarchie aristocratiche o del potere di un solo uomo. Peraltro, proprio in tale periodo, si affermarono in corrispondenza di situazioni sociali particolarmente difficili, le tirannidi, tipiche del VI secolo. Succedono, quindi, nuove e più complete forme di regimi repubblicano‑oligarchici, dai quali si svilupperà nel V secolo la democrazia. Nel VI secolo si dispiega interamente la civiltà greca, che in ogni campo raggiunge e supera tutti i popoli del Mediterraneo. Nei primi tre decenni del V secolo, il popolo ellenico affronta l’Impero persiano, che tenta di ridurre la Grecia asiatica e poi anche quella continentale nel proprio dominio.
Atene e Sparta guidano nell’ultima fase la resistenza e la riscossa greca; esse sono ormai divenute (Sparta da tempo, almeno dal VI secolo) le principali potenze politico‑militari della Grecia. Atene è la principale potenza economica. Intorno alle due città egemoni (maggiore potenza terrestre Sparta, maggiore potenza navale Atene; oligarchico‑aristocratica la prima, democratica la seconda) si raccolgono alleate le altre città greche, nei due grandi sistemi della lega peloponnesiaca e della lega delio‑attica. Dopo un lungo periodo di tensione si giunse alla guerra del Peloponneso (431‑404 a.C.), dalla quale Atene uscì sconfitta e Sparta vincitrice, ma che ebbe il risultato di permettere alla Persia, partigiana di Sparta, di dominare nell’Egeo e di farsi arbitra delle continue lotte politiche greche.
L’egemonia spartana, esercitata con durezza e miopia, portò a una coalizione tra Argo, Corinto, Tebe, poi anche Atene, ormai tornata alla democrazia e risorgente come forza economica e militare. La nuova lunga guerra si concluse con la pace di Antalcida (386) detta anche «del Re» poiché dettata dal re persiano che si assicurava così il frazionamento politico della Grecia. Dopo pochi anni, contro Sparta, ancora egemone, ma in decadenza economica e sociale, si affermò la potenza di Tebe, mentre Atene procedeva alla ricostruzione di una nuova lega navale. Tebe, battuta a Leuttra Sparta (371), per circa un decennio dominò sulla Grecia, finché, morto nella battaglia di Mantinea il suo capo Epaminonda (362), la confusione tornò a regnare.
Nel 356 un nuovo grave episodio politico‑militare mise in crisi il sistema politico greco. Mentre Filippo II di Macedonia (potenza che si stava affermando nel nord) maturava i suoi disegni egemonici, la Grecia fu quasi tutta coinvolta nella terza guerra sacra, dalla quale fu ulteriormente indebolita e che diede a Filippo l’occasione di estendere la sua influenza nella Grecia centrale. Dopo pochi anni Atene, guidata dal democratico Demostene, a conclusione di una lunga e complessa vicenda diplomatica riuscì a realizzare una coalizione antimacedone, che nel 338 si scontrò in Beozia, a Cheronea, contro il potente esercito di Filippo. Questi vinse e tutti gli stati greci dovettero riconoscere la supremazia macedone, partecipando a una lega (lega di Corinto) che, sotto l’egemonia di Filippo, ebbe lo scopo dichiarato di dare guerra alla Persia. Così si suole tradizionalmente far terminare la storia della Grecia libera.
In realtà, non solo la Grecia nell’età successiva riuscì a realizzare se non una vera e propria autonomia almeno una funzione importante nel complesso gioco delle potenze ellenistiche, ma anche la polis dimostrò vitalità come struttura autonoma politico‑amministrativa, aprendosi a forme di federazione. Morto Filippo (336), i greci dovettero accettare il dominio di Alessandro Magno, che nel 335 distrusse Tebe ribellatasi. Ma dopo la morte del re (323), tentarono nuovamente di rendersi liberi (guerra di Lamia), finché a Crannone (322) non furono sconfitti per terra da Antipatro e ad Amorgo per mare da Clito. Alla nuova servitù corrispose un forte riassetto interno delle città greche nelle quali, essendo generale la decadenza economica e il contrasto sociale, alla democrazia si sostituì dappertutto l’oligarchia dei pochi possidenti, appoggiata dalle potenze egemoniche; solo in Atene si ebbero vigorosi momenti di ripresa delle tradizioni democratiche, mai, almeno idealmente, spente.
Nel III secolo l’invasione dei celti minacciò gravemente e danneggiò la Grecia centrale. Proprio contro i celti si affermò una potenza greca che stava uscendo da una lunga oscurità, quella dell’Etolia. Etoli e achei, appunto, sapranno costituire le due grandi leghe, etolica e achea che, dividendosi e scontrandosi, variamente giocando sulla amicizia e sull’appoggio dei re di Macedonia (e più tardi dei romani), si contenderanno il predominio: gli etoli, dominanti sulla Grecia centrale, gli achei sul Peloponneso. Nel 222, sconfitto a Sellasia il re spartano Cleomene III (che, restaurando la decaduta potenza spartana, si era fatto ardito innovatore sociale) da una coalizione degli achei con il re macedone Antigono Dosone, parve che sotto l’egemonia di questo dovesse ormai realizzarsi l’unità della Grecia, costituendosi una nuova lega, comprendente tutta la Grecia, tranne Atene e gli etoli.
Ma questi ultimi fecero fallire il disegno unitario, assalendo gli achei, mentre il nuovo re di Macedonia, Filippo V, doveva ormai preoccuparsi dell’intervento romano. Da questo momento nella storia della Grecia si afferma sempre più la presenza di Roma, che dalla logica delle sue conquiste occidentali è tratta, pur senza un disegno coerente, a occuparsi sempre più delle cose orientali. Chiamata solitamente in aiuto di stati greci contro la Macedonia, Roma dapprima non volle sfruttare fino in fondo l’egemonia, ormai conquistata battendo a Cinoscefale (197) Filippo V, e anzi «restituì la libertà» alla Grecia. Ma i successivi avvenimenti, nei quali alla rivolta di Filippo si aggiunse l’intervento del restauratore della potenza siriana, Antioco III, videro gli stati greci sempre più strettamente legati e sempre più aspramente avversi a Roma, sì che quando nel 168 fu sconfitta definitivamente la Macedonia dai romani, la Grecia, anziché essere liberata dal secolare dominatore, si trovò praticamente coinvolta con la sua fine; la sua indipendenza non esisteva più.
Nel 146, dopo un’ulteriore ribellione contro i romani, distrutta Corinto, la Grecia fu ridotta a provincia. Spinta dal non mai sopito desiderio di libertà, Atene aderì entusiasticamente nell’88 all’impresa antiromana di Mitridate VI del Ponto, conclusasi con un lungo e feroce assedio di Silla, che nell’86 prese d’assalto l’antica città di Pericle e di Demostene. Provincia romana delle più pacifiche per tutta la durata dell’Impero, la Grecia ebbe sempre consapevolezza del proprio passato di libertà e dell’immenso apporto da lei dato con la cultura al mondo.