L’ecologia ci insegna che la conservazione delle specie e degli ecosistemi è uno degli aspetti…
L’ecologia ci insegna che la conservazione delle specie e degli ecosistemi è uno degli aspetti più importanti della conservazione del patrimonio naturale; le foreste, come gli altri ecosistemi, devono essere rispettate perché rappresentano un elemento fondamentale nel grandioso meccanismo della vita in natura.
Le foreste tropicali rappresentano gli ultimi grandi spazi verdi e l’ultima fabbrica d’ossigeno del pianeta: un patrimonio naturale straordinario e anche uno degli ecosistemi più produttivi della Terra, più ricchi di diversità biologica, più preziosi per la stabilità dei suoli contro l’erosione delle acque; le foreste svolgono anche un importante ruolo climatico perché regolano le quantità percentuali di ossigeno, anidride carbonica e vapore acqueo.
Si calcola che oggi le foreste tropicali d’ogni tipo (pluviali, monsoniche, secche o d’altitudine) occupino una superficie pari a meno della metà di quella che era in un recente passato. La devastazione prosegue, apparentemente in maniera inarrestabile, a ritmi sempre più rapidi e allarmanti, anche se leggermente diversi da paese a paese. In alcuni, già oggi, le foreste tropicali sono scomparse quasi del tutto (come in molti paesi dell’Africa occidentale, dalla Costa d’Avorio alla Nigeria), in altri ne rimangono ancora porzioni importanti (come in Brasile, Congo, Indonesia). Ovunque indistintamente la deforestazione procede alacremente al di fuori di qualsiasi pianificazione e controllo.
Le cause della distruzione delle foreste tropicali sono molte e diverse, tutte amplificate comunque da quella di fondo (l’esplosione demografica del genere umano), tutte aggravate dalla mancanza di una vera cultura della conservazione ambientale, capace di indirizzare popoli e governi, pur in un mondo politicamente diviso, ad un’accorta pianificazione globale dell’uso delle risorse rinnovabili del pianeta.
Il primo e forse più importante fattore della scomparsa delle foreste è costituito dal continuo avanzare delle coltivazioni (in genere di breve durata per il rapido esaurirsi dei suoli): conseguente alla fame di terre delle popolazioni locali in rapida crescita numerica, ma anche ai programmi di reinsediamento e colonizzazione portati avanti dai governi per non dover modificare l’attuale ineguale distribuzione delle terre esistenti (quindi per ragioni prettamente politico-sociali, anziché biologiche), nonché alle monoculture (tè e caffè soprattutto) e ai pascoli (per l’allevamento del bestiame) necessari ai consumi crescenti del mondo sviluppato.
La domanda di legname, sia da ardere, sia da utilizzare per usi industriali, è l’altra grande responsabile dell’immane tragedia ecologica in atto. La crescente pressione che viene dai paesi industrializzati dell’Occidente (per l’industria della carta o per l’edilizia) è all’origine delle tante devastanti concessioni forestali che, speso tra favoritismi e corruzioni dei governi locali, stanno rapidamente dando fondo al patrimonio forestale esistente, com’è avvenuto, per esempio, nel Borneo e a Sumatra.
La difficoltà poi di effettuare tagli selettivi (nella foresta tropicale è più facile trovare cento alberi di specie diverse che cento della stessa specie) anche per i loro maggiori costi, favoriscono tecniche distruttive di “esbosco a raso” con conseguente scomparsa del soprassuolo boscoso, che inoltre lascia un tipo di terreno largamente inutilizzabile. Anche gli elementi che sono alla base della nutrizione della vegetazione forestale vengono ugualmente distrutti, impedendone così la rigenerazione del terreno e minando in partenza la gracile agricoltura che i nuovi villaggi, puntualmente seguiti all’apertura delle strade forestali, vorrebbero insediare al suo posto.